La città, insignita del titolo “Matera 2019 capitale europea della cultura”, continua a mantenere alto il vessillo della Storia. Che – è chiaro – è passato, presente e futuro. E attraversa ogni passo dell’arte.
Dunque, al di là del suo film “materano” per eccellenza, il “Cristo si è fermato ad Eboli” (1979), girato tra i Sassi, ad Aliano e a Craco, Francesco Rosi, morto a Roma il 10 gennaio, ha sempre sentito un filo conduttore tra la città e la magia dei suoi film.
È in corso, dunque, a Palazzo Lanfranchi – Sala Carlo Levi – una rassegna dei suoi film particolarmente legati al territorio. E non, precipuamente, a questo territorio, il materano, ma il territorio del sud che si fa persona, attraversato dai suoi viaggi, dalle sue letture, dal non aver mai reciso i contatti di ogni genere con la sua città, Napoli. Ov’era nato nel 1922.
Dunque, nella cornice della bellissima Mostra ancora in corso, dedicata ai cinquant’anni del film di Pasolini, girato a Matera, la sua Gerusalemme, “Il Vangelo secondo Matteo”, la Soprintendenza per i Beni storici e artistici della Basilicata, insieme con il Comune di Matera e con Matera 2019, ha deciso di promuovere un omaggio al grande regista, A Francesco Rosi, “cittadino”, il “citoyen” della Rivoluzione francese, nel senso di impegno civile, e alla sua filmografia “senza retorica colta ma popolare”.
La Rassegna comprende cinque capolavori (ma non lo sono tutti?) di Rosi, con alcune scene che, in ogni film, evocano Matera,”Salvatore Giuliano” (1962), “Cadaveri eccellenti” (1976), “Le mani sulla città” (1963), “Il caso Mattei” (1972), il “Cristo” già citato ed il poetico omaggio del suo antico assistente, “Il cineasta e il labirinto” (2002), documentario su Francesco Rosi di Roberto Andò.
Ma Matera aveva sempre tenuto vivo il ricordo di Rosi che, del resto, della città, aveva fatto una sorta di “patria” elettiva, sorta di meridionalismo sempre in fieri che da Salvemini a Fortunato, lo conduceva a studiare, per poi farlo proprio o meno, ogni storico che ancora e sempre avesse qualcosa da dire sulla prima e unica città italiana della “Civiltà contadina”. Infatti a Settembre del 2013, alla presenza del Ministro per i Beni e le attività culturali, Matera aveva conferito a Francesco Rosi la Cittadinanza onoraria.
Pagine e pagine sui giornali, in televisione, in radio: testimonianze, certo, di grandi uomini di cultura, di colleghi, di familiari, esaltando lo speciale gruppo dei “ragazzi dell’Umberto”, i coetanei, Peppino Patroni Griffi, Antonio Ghirelli, Maurizio Barendson – non più viventi – e Raffaele La Capria, anch’egli del 1922, e Giorgio Napolitano, di poco più giovane. Chiunque ne abbia scritto ha sottolineato il loro grande afflato civile ed affettivo che, certo, non è stato cosa da poco nel donarci uno straordinario insieme di sodali, ognuno con alto senso del rigore.
Un bel titolo de “Il Mattino” recita, “Sfidò il potere con la verità”. E questa verità, a volte, veniva scambiata per irruenza, persino crudezza, mentre, per noi che lo abbiamo incontrato qualche anno fa, per il conferimento di un Premio a Napoli, ci apparve semplicemente un uomo “di carattere”. Nella vita come nel lavoro, per lui endiadi senza soluzione di continuità. Con la capacità della modestia e del desiderio continuo di apprendere. A Scampia come a Nisida. Verso i colleghi della sua età e verso i giovani, da stimolare ed ammirare. Memorabile, come racconta Paolo Sorrentino, la telefonata dopo il suo primo film – che “nessuno aveva visto” – per dirgli che gli era piaciuto, dimostrandogli, dice,“che il cinema non è universo di divertimento ma lavoro impegnativo”.
E, dunque, da sottolineare, anche come unione di squadra.
Leggendo la preziosa rubrica de “Il Mattino”, “La lettera del giorno”, curata da Pietro Gargano, abbiamo appreso che, scrive Antonio Frattasi, “pochi hanno ricordato che i film di Rosi realizzati tra la fine degli anni ’50 e la prima metà del ’70, furono trasmessi per la prima volta in Rai solo nel Novembre 1975. I prudenti dirigenti televisivi, un po’ per pregiudizio politico e un po’ per oscurantismo culturale, avevano, infatti, a lungo escluso le opere del regista napoletano(…)”.
E, dunque, perché mettere un’etichetta ai film di Francesco Rosi? Denuncia, impegno civile? Certo, ma, con queste definizioni, anche la consapevolezza, sua e nostra, che il sud può e deve essere conosciuto come entità diversa dal resto d’Italia. “Un trattato antropologico”, definisce Roberto Saviano, il film “Le mani sulla città”, aggiungendo, “Napoli ferita dalla guerra, un grande rimosso, la città più bombardata d’Italia (…) che non la rende identica a nessun’altra”.
A Napoli si è già parlato, da parte dell’Assessorato alla Cultura del Comune, di una “Casa del Cinema” intitolata a Rosi: speriamo. Sarebbe davvero una palestra di Storia. Senza date e senza aggettivazioni.
ph. Sergio Strizzi