Tra le epigrafe del nostro più remoto passato, nelle viscere del Museo Archeologico di Napoli, prende forma la mostra d’arte contemporanea “Attraverso Archetipi dell’Arte”, che raccoglie due decenni di lavoro dell’artista partenopeo Mario Iaione.
Le opere, per ammissione dello stesso artista (con cui abbiamo avuto il piacere di dialogare durante la presentazione della mostra il 20 ottobre), sono “dure, divisive, lacerate da vari concetti. Sono opere complicate, particolari… perché molto, molto personali.”
Mario Iaione, infatti, ha vissuto un’epopea artistica singolare: nasce come autodidatta, quando appena tredicenne iniziò col modellare la creta. “Il fatto è che – ci tiene a precisare – da un materiale come la creta può uscire qualsiasi cosa. Il problema sta proprio nel farlo uscire”. Mario non ha frequentato l’Accademia, ma nasce appunto come artigiano. Ha però avuto un maestro di tutto rispetto: il noto scultore Lello Esposito, che più che insegnargli come ‘fare le cose’ attraverso tecniche accademiche, lo ha aiutato a comprendere se dentro di sé avesse qualcosa che potesse effettivamente ‘venire fuori’.
Da artigiano a scultore, Mario inizia col concentrarsi sulla figura della Maschera di Pulcinella. Dal concetto di maschera, che per lui diventerà quasi un’ossessione, è cresciuto sia tecnicamente che umanamente. “Negli anni ho tentato di rimettermi la maschera, poi di ritoglierla, e infine ad aprirla attraverso i volti.” Da quest’apertura, Mario ha concretizzato varie mostre in giro per l’Italia, di cui “Archetipi dell’Arte” rappresenta l’ultima fatica. La mostra ha visto la luce grazie anche alle opere dello scultore in prestito per l’occasione. Queste, nel frattempo, figuravano in collezioni private sparse per tutto il Paese.
“Con queste opere indago i sentimenti. I miei e quelli che, spero, riescano a far scaturire negli occhi di chi le guarda. Infondo, siamo quello che leggiamo. E con le mie opere cerco di scrivere una traccia da cui partire”. Una traccia fatta di materiale, in special modo la creta oltre che il marmo, ma anche di colore. “Per le mie opere, amo iniziare e finire io. Dal modello fino alla scelta dei colori con cui dipingerle, che è parte integrante del processo creativo”.

Le sculture di questi volti ‘duri e divisi’ sono poste tra la collezione di epigrafe del MANN, paradossalmente in sintonia con questi cimeli storici ben più antichi. Passeggiarvi ‘attraverso’ può sembrare inizialmente semplice, ma man mano che si procede nella galleria sembra quasi di giocare a una personale caccia al tesoro. Alcune sculture sono infatti quasi ‘nascoste’ dietro ai reperti normalmente esposti nella galleria delle epigrafe. Altre si trovano ‘sospese’ tra un reperto e l’altro, ed altre invece seguono e guidano il visitatore, poste con precisione al centro del percorso.

Una delle prime sculture che si incontra è “Bu(io)”. Molte sono infatti accompagnate da un titolo, a suggerimento di cosa l’artista ha voluto imprimere nell’opera. “Ma non amo spiegare, né raccontare. Ognuno deve essere libero di vederci ciò che sente” ribadisce Mario, suggerendoci appena cosa potrebbe essere questo strano volto immortalato nell’atto di nascondersi. Sorprende la mano, curiosamente posta col palmo verso l’esterno, come a voler suggerire più una timidezza che una reale chiusura al mondo esterno. Come se, infondo, volesse ‘raccogliere’ ciò che intanto sta tagliando fuori.
Ma perché Archetipi dell’Arte?
“Archetipi è un concetto molto filosofico, che qui racchiude in sé le varie forme d’arte, oltre al suo senso più arcaico: un ritorno all’origine. Cosa può significare tornare indietro nella formazione di ognuno di noi? Come umani, siamo pieni di archetipi personali. Cresciamo, andiamo avanti, ma ci portiamo sempre dentro quello che ci è successo… e a volte questo ritorna. E ritorna in altre forme.”
Non è un caso, infatti, che molte delle opere presenti siano state in precedenza raccolte nel catalogo “Character” edito proprio da Rogiosi Editore e a cura di Loredana Troise, presentato sempre al MANN nel 2019.
Di questo percorso, che molto affonda della tradizione partenopea, cosa rimane?
“Mi è rimasto, e mi rimarrà sempre, la figura di San Gennaro. Ma un San Gennaro senza volto, inteso più come iconografia. Come un percorso di tagli, sangue e lava. In futuro vorrei realizzare una mostra su un San Gennaro spogliato dal concetto di ‘figura’ e in cui fuoriesca quello di ‘icona pop’. Questo perché – conclude Mario – intendo nel mio futuro di artista concentrarmi su opere meno figurative, diverse, che indaghino più sulle linee che sulle forme umane.”
Non resta dunque che recarsi al MANN e perdersi tra queste curiose sculture che, tra l’indagine dei sentimenti, il concetto del tempo e della lotta interiore, ci guardano, oltre che lasciarsi guardare.

Info:
La mostra di Mario Iaione sarà visitabile fino al 25 ottobre 2021, dalle ore 9:00 alle 19:30.