La giornalista d’inchiesta napoletana insignita dell’importante onorificenza. Dai suoi servizi partite svariate indagini penali
Il “Corriere.it” l’ha inserita nella classifica mondiale delle cento donne del 2016, insieme a Hilary Clinton, al direttore del Cern Fabiola Giannotti, alla mamma di Giulio Regeni, alla sacerdotessa del rock Patty Smith e a tante altre donne descritte come “pioniere, creative, influencers, rivoluzionarie, resilienti, anticonformiste”. In effetti a vederla e soprattutto a conoscerla Amalia De Simone, 43 anni, laureata in Giurisprudenza senza aver mai avuto alcuna intenzione di fare l’avvocato, racchiude in pieno tutte queste qualità cui ne va aggiunta un’altra di fondamentale importanza per un giornalista d’inchiesta: il coraggio.

Ed è proprio per il suo “coraggioso impegno” che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella motu proprio l’ha nominata e poi insignita lo scorso 2 febbraio, insieme ad altri 39 italiani, a vario titolo impegnati sul fronte dell’integrazione e della legalità, del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica.
“Ero in Germania – racconta la reporter – quando mi ha raggiunto la notizia di essere stata nominata Cavaliere della Repubblica, pensavo fosse uno scherzo. Davvero non me l’aspettavo. Mi fa piacere questo riconoscimento non tanto per me quanto per l’attenzione verso un certo modo di fare giornalismo, ancora esistente in questo Paese”.
Un riconoscimento che arriva dopo anni di duro e pericoloso lavoro per la televisione e per molte testate giornalistiche tra cui il “Corriere della Sera”, anni nei quali Amalia De Simone si è interessata di argomenti scottanti, dagli intrecci tra politica, camorra e mondo economico, ai crimini ambientali, al terrorismo, fino alla violenza all’infanzia. Ma il valore aggiunto della giornalista napoletana è soprattutto il modo in cui conduce le sue inchieste e il riguardo, l’attenzione, il rispetto con il quale tratta le persone di cui racconta le storie. E sì, perchè la videoreporter insegue la verità non lo scoop facile, quindi, svolge ricerche certosine, incrocia le fonti, si reca “sui luoghi del delitto” (come quando si calò con una tuta protettiva dentro una centrale nucleare) e solo dopo racconta i fatti, depurandoli da qualsiasi sensazionalismo.
Grazie alle sue inchieste sono partite molte indagini di rilievo penale, da quella sulla prostituzione minorile a Napoli, a quella sul traffico di cocaina, nascosta nel pesce congelato, dal Sudamerica al porto di Gioia Tauro, inchiesta costata alla giornalista una querela da parte di un miliardario coinvolto nell’attività illecita.
“Le querele temerarie – minimizza Amalia De Simone – sono scoccianti, non lo nego, ma fanno parte dei rischi del mestiere, così come le minacce. Quando metti le mani su qualcosa che scotta e tocchi persone potenti, puoi andare incontro a questi problemi, ma io non mi spavento”.
“Nel mese di gennaio – continua – il Tribuale di Napoli ha archiviato le accuse nei miei confronti per l’inchiesta sul traffico di cocaina, giudicando la querela del multimiliardario come temeraria. Avevo ragione io”.
Una buona notizia non solo per la videoreporter campana, ma per tutti quei giornalisti “nel mirino” che, nonostante le minacce di morte e le querele, continuano a camminare con la schiena dritta, perchè al di là della volontà di svolgere bene il proprio lavoro, ciò che muove il loro agire di eroi quasi invisibili è un forte senso dell’impegno civile. Nostro il compito di non lasciarli mai soli.