Cosa ci fanno tre sarcofagi gotici in una cappella abbandonata da quarant’anni, nell’antico cuore rustico dell’Arenella? Stanno, naturalmente, vicino ai sotterranei possibili resti della perduta Accademia dei Segreti, fondata nel XVI secolo dallo scienziato, letterato ed alchimista Giambattista Della Porta.

Ma un passo per volta. In un precedente articolo del 2014 (Il mistero delle grotte di Due Porte all’Arenella), ci siamo lasciati con alcune considerazioni storico-topografiche legate all’ex borgo che prende il nome verisimilmente dalla villa che un tempo fu del Della Porta. Sparita, o piuttosto nascosta. A quasi tre anni di distanza, un importante segmento di conoscenza sulla storia del quartiere torna a vivere.

Si tratta della cappella di Santa Maria Porta Coeli e San Gennaro, eretta nel Seicento da Isabella, erede di Cinzia Della Porta, figlia di Giambattista (nel frattempo morto già dal 1615), che aveva sposato Alfonso di Costanzo, la cui famiglia originaria di Pozzuoli era delle più importanti aristocratiche nell’allora Viceregno.

Dalla lapide in facciata si desume che fosse stata eretta dalla gentildonna alla metà del secolo, per risparmiare ai braccianti dell’agro circostante una lunga discesa verso la città per ascoltar messa — va ricordato che occorreva arrivare come minimo alla Sanità, essa stessa borgo e non propriamente quartiere cittadino. Nei decenni, i di Costanzo ne continuano il patronato, finché nel 1760 morì il duca Francesco Maria, che si fece lì seppellire e che donò la cappella alla Deputazione del Tesoro di San Gennaro, ovvero l’ente governativo della Cappella del Tesoro al Duomo, che dal 1601 ad oggi la regge.

Due anni dopo l’Unità, gli stessi deputati provvidero al restauro della cappella, e la dotarono di altari in marmi pregiati, di nuovo corredo liturgico e di un organo. Nuovi lavori poi nel 1915, condotti dall’architetto Carlo Marullo e promossi ancora dalla Deputazione, con interventi, tra gli altri, ai cancelli, alle mura ed al tetto.
Resistendo al poderoso sfascio urbanistico post-bellico, ancora negli anni Settanta la chiesa serviva gli abitanti della zona, ma col terremoto del 1980 chiuse i battenti, abbandonandosi a un quarantennio di devastazioni, saccheggi, manomissioni e detrimento. E infine il 2017, quando la “Confraternita internazionale dei Cavalieri Templari Cristiani Jacques de Molay” rileva in concessione decennale il monumento dalla Deputazione, addossandosene gli oneri per la messa in sicurezza, l’agibilità e i restauri. I lavori, terminati con l’inaugurazione dello scorso gennaio, hanno portato (sebbene con consistenti integrazioni moderne) alla ripresa del monumento, già mezzo appeso al cappio del crollo ed asfaltato dall’oblio.

Il dato più consistente è la conservazione in basso, sotto un vetro, della lapide mortuaria settecentesca del duca Francesco Maria, e di quella novecentesca che ne rinnova la memoria. Ma soprattutto della cappella con i resti superstiti allo spoglio di ben tre sepolture gentilizie monumentali dei di Costanzo.

Qui la vicenda si complica. Le sepolture sono ben più antiche della stessa cappella e dello stesso Giambattista della Porta: gotiche, precisamente. Che siano della famiglia di Costanzo lo confermano le iscrizioni ancora leggibili e lo scudo gentilizio, per l’appunto un leone che sovrasta tre paia di costole. Al centro della cappella, una lapide latina in caratteri capitali romani, datata 1643, prova a fare ordine. Questa permette di identificare i tre seppellimenti appartenere a Ludovico e Luigi di Costanzo, vescovi di Pozzuoli, e al milite Giovannello, fratello di Ludovico, vissuti fra tre e Quattrocento. Riporta anche di come gli eredi secenteschi decidessero, tramite rogito del notaio Luca Pozio, di trasferire dalla vecchia cattedrale puteolana alla cappella napoletana i sarcofagi. E sotto la lapide latina, un’altra lastra sepolcrale malamente infilata e in parte nascosta dal sarcofago, dall’iscrizione assai abrasa, e con la raffigurazione di una doppia sepoltura, forse di un genitore col figlio.

La tomba meglio serbata è quella di Ludovico, che appare infatti in abiti religiosi, e propriamente col pastorale e la mitria, propri della dignità vescovile. Sulla sua lastra tombale, una classica raffigurazione a tre tondi, con la Vergine, il Cristo calato nel sepolcro (o “Uomo dei dolori”) e il San Giovanni Evangelista che si strappa la tunica dal dolore. Il tutto in un campo di decorazioni vegetali e con iscrizione perimetrale, che ne data la morte all’anno 1400. Similmente ritratto, ma con l’aggiunta del messale, è Luigi, il cui sepolcro però è ridotto appena all’effigie, senza ombra d’iscrizioni. In armatura invece, coerentemente, Giovannello, con il tipicissimo motivo medievale del cagnolino sotto i suoi piedi, come a preservarne il riposo e a fargli compagnia. In attesa di eventuali studi approfonditi, quel che si può constatare è il rilievo del patrimonio artistico della zona, che ben più lascia sperare il rinvenimento delle sedi dellaportiane.

E si assoda, una volta di più, dunque, che un antico borgo di campagna si spoglia dall’essere solo il ricordo di “terre” o il presente di una modesta scorciatoia tra centro storico e quartieri collinari, ma, proprio perché si tratta di Napoli, il mistero è sempre dietro l’angolo, carico di tesori, e questo splendido dono di Medioevo invoca il peso della custodia e della conoscenza. O l’alternativa di altre tonnellate di vergogna e silenzio.

Si ringrazia la Confraternita custode della chiesa.