Storia dentro e fuori dal set dell’attore che interpreta il papà di Lila nella serie L’amica geniale.
Ho davanti agli occhi l’immagine di un uomo nella sua calzoleria, solo con gli attrezzi del mestiere e l’esperienza degli anni, intento a riparare scarpe rotte o consumate dall’usura; a quell’immagine se ne sovrappone un’altra: un attore che con la stessa laboriosità di un artigiano e la memoria quasi tattile degli insegnamenti dei suoi ‘maestri d’arte’, dà vita al suo personaggio di carta. Nella serie L’amica geniale, diretta da Saverio Costanzo, Antonio Buonanno è Fernando Cerullo, professione calzolaio, padre di famiglia: “Nella sua semplicità, Fernando è stato un personaggio molto complesso da rendere perché aveva il compito di restituire la miseria e la frustrazione di chi non ce l’ha fatta nel Dopoguerra. Una frustrazione talmente forte, schiacciante, che non gli permette di accettare la capacità di sua figlia Lila, e la spinta imprenditoriale, anche un po’ sbagliata, di Rino, il cui obiettivo è ‘fare i soldi’. Lui non vuole mettersi in gioco. Si aggrappa a quel poco che è riuscito a costruire – una piccola calzoleria con cui però mangiano due famiglie – e guai a qualsiasi cosa possa intaccarlo. E anche quando le scarpe vengono fatte, e anche meglio di come le avrebbe fatte lui, Fernando sente che gli è stata rubata l’unica cosa che ha”.

Il pensiero torna subito alla scena più forte del personaggio, quella della ‘defenestrazione’ della piccola Lila: “Io e Saverio [Costanzo, n.d.r.] ne parlammo tanto. Arrivammo alla conclusione che Fernando non era il pazzo cattivo che era capace di uccidere la figlia; compie questo gesto di follia, di frustrazione – ancora oggi purtroppo ci sono femminicidi che avvengono per un momento di frustrazione – e quando si affaccia alla finestra e continua a insultarla, quello che dice non è quello che pensa, perché in realtà sta soffrendo. Fu buona la prima”. Quella ne L’amica geniale è la prima grande esperienza sul piccolo schermo di Antonio Buonanno, che ha alle spalle una vita nel teatro: “Mi sono formato all’Accademia di Arte Drammatica al Teatro Bellini di Napoli, negli anni ’93-’95: triennio d’oro perché in quella classe quasi tutti abbiamo fatto un bel percorso nella recitazione. Durante l’Accademia ho fatto la Commedia dell’Arte grazie a Lucio Allocca, la tragedia greca con Mario Santella, ho debuttato in un’operetta al Teatro Massimo di Catania, sono stato un Romeo. Nel mio percorso ho avuto la fortuna di avere sempre buoni maestri, persone artisticamente importanti, piene di cose da dare: ricordo Giancarlo Sepe, Mario Scarpetta – il più grande capocomico che abbia mai avuto –, Luigi De Filippo, Renato Carpentieri, Paolo Giuranna. Questo è un lavoro di artigianato, di alto artigianato”. E l’esperienza nel teatro è stata fondamentale anche in un lavoro cinematografico come L’amica geniale: “Proprio come faccio per il teatro, ho preso il personaggio, ho cominciato a pensarci, a viverci insieme, una cosa quasi psichiatrica [ride, n.d.r.]. Tutto il lavoro io l’ho vissuto molto teatralmente, perché ce n’è stata data la possibilità. Prima di andare sul set, abbiamo fatto periodi di prove come si fanno a teatro. Questo ha permesso di creare delle relazioni, di affrontare i personaggi, sviscerarli insieme al regista. Fondamentale anche l’apporto di Antonio Calone, che è partito come coach delle bambine ma poi è diventato un riferimento per tutti noi attori. Non c’è stato un reparto che si è risparmiato: forse questo era l’unico modo per fare una serie del genere. L’amica geniale è stata lavorata così, con la cura, con i tempi, con la partecipazione di tutti”.