‘Carmela’, storia di un vicolo e dell’ultimo giorno di sole

Carmela
Carmela

Raccontiamo le storie (inventate o reali, chi lo sa) dietro le canzoni classiche napoletane. Oggi riascoltiamo e rileggiamo Carmela, qui nella versione di Sergio Bruni.

Carmela è la canzone del vicolo per eccellenza. Stu vico nire nun fernesce mai… ma perché rifugiarsi in una strada così buia? Lo scopriamo in questa storia (inventata o reale, chi lo sa) fatta di poco sole e tanto buio.

Prologo

L’uomo percorreva velocemente la strada larga e assolata.

Si guardava intorno talmente tante volte che sembrava non volesse perdersi nemmeno un minimo movimento del resto del mondo. In realtà, quello che sperava era che il resto del mondo non si accorgesse più dei suoi movimenti.

Sentiva già i giudizi, i commenti, le cattiverie che sarebbero esplose. Cosa ne sapevano tutti di quello che era successo? Come potevano pensare di dirgli come avrebbe dovuto comportarsi? Aveva esagerato, lo ammetteva, ma non aveva sbagliato. Se lo meritava…

Era una vita che lo sopportava, che si lasciava schiacciare, che ci perdeva soldi, anima e salute. Già dal primo giorno aveva capito che avrebbe odiato quell’uomo per il resto dei suoi giorni, ma si era ripromesso di stare calmo: quel lavoro gli serviva. Si accorse quasi subito che l’odio era ricambiato. Quell’uomo detestava e trattava con superiorità chiunque, ma con lui si impegnava particolarmente. Prima lo umiliò un paio di volte al mese, poi cominciò a farlo una volta a settimana, e alla fine tutti i giorni, in una sorta di offensiva e crudele routine. Lui abbassava la testa, abbassava gli occhi, stringeva le spalle e incassava. Non come un pugile, però, perché altrimenti prima o poi avrebbe reagito. Incassava come un sacco da boxe, inerme.

Ribellione

Poi, nello stesso identico modo in cui esplode qualcosa che è troppo sotto pressione, si era rifiutato di incassare. Lo aveva fatto quasi contro la sua volontà: gli occhi non volevano abbassarsi, la testa era rimasta ferma, le spalle si erano irrigidite. E aveva colpito. Colpito con la prima cosa che si era ritrovato tra le mani. Quell’uomo che aveva sempre odiato era a terra davanti a lui. Voleva solo vedere la paura, la supplica nei suoi occhi… ma non ci vide niente. Non c’era più niente dietro quegli occhi. Aveva colpito troppo bene.

E allora era scappato, e ora quasi correva nella strada larga e assolata. Si conosceva: non avrebbe retto. Il giorno dopo sarebbe corso alla polizia per denunciarsi. Meglio essere punito che vivere con il rimorso. Ma prima doveva andare nel posto che aveva sempre desiderato, a un appuntamento tutto suo che aveva sempre rimandato. Ora non c’era più ‘domani’ che tenesse.

Il vicolo, il buio e il sole

Sulla strada larga e assolata si affacciava un vicoletto stretto, chiuso tra due palazzi, nel quale neanche il sole aveva l’ardire di intrufolarsi. Alla fine del vicoletto c’era una casa e dentro c’era la donna che lui voleva, ma che non aveva mai osato importunare quasi come se non volesse portarla via dal buio del suo vicolo, quasi come se fosse stato peccato mostrarla al sole e al resto della gente. A lui, in fondo, stava bene così: era una visione tutta per lui. Ma ora che una buona parte della sua vita sembrava destinata a trascinarsi nel buio inospitale, voleva trascorrere un ultima notte nel buio più accogliente che conoscesse.

Raggiunse la casa, bussò alla porta e nel buio sembrò espandersi una luce, ma sapeva che la vedeva solo lui.

“Buongiorno, signorina Carmela. Lei non mi conosce e non mi conoscerà mai. Sarei dovuto venire qui secoli fa, ma ho paura del buio, in tanti sensi. Vorrei portarla via con me, dove c’è il giorno, ma dove andrò non mi è possibile. Se qui la notte non finisce, il giorno sembra non arrivare e il mondo esterno sembra non vedere, vorrei che mi tenesse con lei e magari non sarà mai domani. Che ne pensa?”.

Lei lo guardò. Poi, inspiegabilmente, sorrise. E fu giorno, e fu speranza e fu l’ultima volta al sole, nel buio.

Testo Canzone – Carmela (1976)

Musica di Sergio Bruni, testo di Salvatore Palomba

Stu vico niro nun fernesce maje
e pure ‘o sole passa e se ne fuje.
Ma tu stai llà, addurosa preta ‘e stella,

Carmela, Carmè.

Tu chiagne sulo si nisciuno vede
e strille sulo si nisciuno sente,
ma nun’ è acqua ‘o sanghe dint’ ‘e vvene,

Carmela, Carmè.

Si ll’ammore è ‘o cuntrario d’ ‘a morte,
e tu ‘o ssaje.

Si dimane è surtanto speranza,
e tu ‘o ssaje.

Nun me può fà aspettà fin’ a dimane,
astrigneme ‘int’ ‘e braccia pe’ stasera,

Carmela, Carmè.

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