Quando nel 1935 Walter Benjamin parlò di ‘perdita dell’aura’ dell’opera d’arte, infinite volte fotografata e riprodotta, non poteva immaginare che un giorno perfino al supporto riproducibile per definizione – il libro – sarebbe toccata la stessa sorte. Tra e-book, audiolibri ed e-store delle parole, l’atteggiamento della lettura sta vivendo un’espansione di supporti, che non significa necessariamente crisi.
Cominciamo dai numeri. Nel 2018 – secondo l’Istat – 1.564 editori italiani hanno pubblicato 75.758 titoli, di cui il 61,7% sono prime edizioni. Di questi, 30 mila sono stati pubblicati anche in versione e-book. Il tutto, in un Paese in cui i più attenti lettori sono le donne tra gli 11 e i 19 anni. Dai dati emerge subito un fatto: quello dei libri è sempre più un mercato di consumo, che in nome della novità a tutti i costi si distanzia dalla qualità che resta nel tempo, cosa che si ripercuote fortemente sulla letteratura adolescenziale che, eccezion fatta per classici di formazione antichi e moderni, non può vantare certo autori da annali e pagine da antologia. Basterebbe questo riscontro per sgonfiare i toni di chi vuole la polemica a tutti i costi sulla nuova fruizione del testo.
Capiamoci meglio. Il libro in sé rappresenta l’oggetto culturale per antonomasia, che, acquisito, interiorizzato e incrociato, ha il pregio implicito di richiamare la lettura di altri libri e di accompagnare fisicamente il lettore che lo possiede finché vuole. Ma non tutti i libri e non tutti i contesti richiedono la medesima esperienza di lettura. Ecco allora che per una lettura tecnica, di documentazione o di ricerca, l’e-book (o il formato PDF) consente l’immediatezza della reperibilità, della ricercabilità, dell’annotabilità e della traduzione simultanea, creando contestualmente una banca dati che in maniera analogica corrisponderebbe ad una folla di post-it e di piegature. O ancora, la scelta dell’e-book ricorre spesso quando viaggi e spazi inadeguati non consentono la trasportabilità e la comodità dell’oggetto libro.
D’altro canto, intervengono i fattori di attaccamento all’odore della carta e ad altre sofisticatezze al giro di boa del feticismo, che qui non considereremo. Di oggettivo, invece, c’è che una biblioteca fisica da esibire è un’espansione della propria identità ed è uno status symbol di chi desidera sfoggiare – giustamente – il proprio sforzo di conoscenza. Perché i libri sono tasselli di identità e memoria, funzionanti proprio come le migliori foto in cornice, perse per sempre dentro un hard disk. È qui, forse, la prima metà del nocciolo della questione: l’indispensabilità di rapportarsi sensorialmente ad oggetti cui ci si lega, e che scompaiono se mediati dalla smaterializzazione in files. Molto più che romanticismo. L’altra metà del nocciolo è la risposta sensoriale allo stimolo del supporto: una ricerca condotta dalla rivista britannica New Scientist, divulgata in Italia dal Corriere della Sera nel 2015, ha riscontrato che la lettura del volume cartaceo è maggiormente in grado di consentire un’immersione profonda, agendo sulla conservazione del concetto così come sull’empatia verso i fatti letti. Insomma, saremmo ancora animali sensoriali, incapaci di una compenetrazione totale col virtuale, ma non per questo potremmo mai rinunciare alla digitalizzazione del sapere, che accorcia le distanze e democratizza sempre più la conoscenza, consentendo miracoli nell’avanzamento degli studi.
A proposito della carta, altolà agli spauracchi dell’ecologismo a tutti i costi: non è certo la stampa dei libri, che ormai si vale di processi eccellenti di raffinatura e riciclo delle materie prime, a creare problemi al pianeta. Pericolosi sono invece i conservatori a tutti i costi, che vedono nella presenza degli e-store la fine della libreria all’angolo. Siamo sicuri che siano Libraccio.it o Amazon a mettere in difficoltà le librerie? Basterebbe guardare il proliferare del culto della bancarella, che a Napoli ha il suo stomaco in Port’Alba, per dimostrare il contrario. Non sarà che le librerie incapaci di innovarsi e confrontarsi coi tempi si aspettano di non dover mai fare un passo per una pretesa sacralità? Non saranno forse le catene di librerie che si trasformano in supermercati all’ingrosso a far fuggire i lettori, che non trovano contesto, identità e consigli? Non sarà forse la mancanza di una proposta editoriale che privilegi la qualità a fare più danni di Amazon? Non saranno forse libri scolastici ed universitari a prezzi improponibili, a cui si cambia una virgola per dire ‘nuova edizione’, che alimentano il mercato della fotocopia? Non sarà forse l’editoria a pagamento che spella gli autori e degrada gli editori, che divengono impaginatori della qualunque? Forse il presente è un po’ più complicato di quelle nette separazioni che ci rassicurano, e camminarci in mezzo, anziché starsene su di un lato, è l’unico modo per affrontare le trasformazioni senza lasciarsi fuorviare.