È un viaggio antropologico, un esperimento sociale, quello compiuto da Pier Paolo Pasolini. Un viaggio che parte dal sud dell’Italia e arriva fino al nord, compiuto allo scopo di documentare la realtà culturale e sociale del dopoguerra.
Le differenze fra il nord e il sud dell’Italia e le loro manifestazioni di stampo sociale, culturale e ideologico.
‘I napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Beja (o fanno anche, da secoli, gli zingari): è un rifiuto, sorto dal cuore della collettività (si sa anche di suicidi collettivi di mandrie di animali); una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanta. I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili e incorruttibili’.
Sono queste le parole e i pensieri espressi da Pier Paolo Pasolini quando ebbe l’opportunità, durante le riprese del ‘Decameron’, di osservare da vicino le usanze i costumi del popolo napoletano. Questo popolo troppo poco sviluppato e attaccato visceralmente ai propri istinti primari ha sempre generato in un intellettuale come Pasolini un sentimento di sconfinata tenerezza, perché la primordialità e la naturalezza sono due caratteristiche che contraddistinguono il popolo di Napoli e tanto care a Pasolini. Ma spesso primordialità significa anche lotta per la sopravvivenza, legge del più forte, sopraffazione dei più deboli. Da questa considerazione di carattere antropologico che affonda le sue radici nella storia della napoletanità, deriva l’amore sincero e conflittuale che Pasolini prova nei confronti del popolo incorruttibile e irripetibile. Napoli nella visione pasoliniana, è una delle poche città a non essere, in un certo senso, serva del falso mito del progresso.
Ma il vero obiettivo del film/documentario ‘Comizi d’amore’ girato nel 1965, è quello di portare alla luce le distanze sociali e l’arretratezza culturale che intercorrono tra gli abitanti del nord e del sud Italia. Pasolini con le sue domande scomode e piccanti intervista gli italiani del sud su argomenti considerati ancora un tabù: la prostituzione, la legge Merlin, il ruolo della donna nella società e la sua posizione d’inferiorità, il sesso e l’omosessualità. Ciò che deriva da questo esperimento sociale è la lontananza della Campania, ma anche della Sicilia e dalla Calabria, dalle regioni del nord, i cui abitanti sembrano aprirsi con entusiasmo alla tecnologia e alle innovazioni in ogni ambito, barattando i valori tradizionali con quelli emergenti del nuovo mondo. In questo documentario Pasolini decide di intervistare gli intellettuali del Novecento, quali Giuseppe Ungaretti, Oriana Fallaci e Alberto Moravia. Particolarmente significativa è la domanda fatta a Ungaretti sulla normalità e l’anormalità sessuale di cui riportiamo una parte: ‘Senta, ogni uomo è fatto in un modo diverso, dico… Nella sua struttura fisica è fatto in modo diverso, è fatto anche in un modo diverso nella sua combinazione spirituale. Quindi tutti gli uomini sono a loro modo anormali, tutti gli uomini sono in un certo senso in contrasto con la natura. E questo sino dal primo momento con l’atto di civiltà che è un atto di prepotenza umana sulla natura, è un atto contro natura. ’
E con l’intervista di questi grandi maestri si conclude il documentario di Pasolini, il quale ci lascia riflettere sulle parole di Ungaretti, Moravia, Fallaci per generare i noi disorientamento, scompiglio e confusione, con la consapevolezza di essere accolto dai napoletani, dai calabresi e dai siciliani con l’ostilità e la rabbia di chi cerca di difendere una primordialità che Pasolini, paradossalmente, ha a cuore.