«Dove? non ho sentito bene, il cellulare non prende».
«Da “Concettina ai Tre Santi”: Pizzeria Oliva».
«Pizzeria Oliva? Quella alla Sanità? Se è quella, mi hanno detto che si mangia davvero bene».
«Sì, quella alla Sanità, ora prendo il motorino e scendo».
«Ok. Stai attento…».
Il pregiudizio reciproco, l’autocommiserazione, il denigrarsi e l’immobilismo penso siano i limiti più gravi che abbiamo come città e come popolo in genere.
Lo “stai attento”, mi risuonava in testa mentre sotto il motorino, abbandonato l’asfalto di via Salvator Rosa, cominciavo a sentire le asperità del pavé e di qualche buca del Museo. “Stai attento!” e per qualche secondo lo sono anche stato. D’altronde stavo entrando alla Sanità, una delle icone della Napoli difficile.
Eppure, pochi metri dentro, lasciata alle spalle Piazza Cavour, tanta bellezza impetuosa, tanta moltitudine affaccendata, tanto irrefrenabile colore, sfacciato vigore virale; la Sanità mi si dischiudeva con tutta la sua inattesa forza, con tutta la nobiltà di Napoli vivissima, la cui anima pare quasi fortificata tra quelle mura millenarie e in quei palazzi maestosissimi e decadenti. Ciro Oliva è esattamente come il suo quartiere, come la parte più bella. Ha 21 anni, grandi progetti, idee chiarissime e una grande voglia di fare. Mi accoglie alle 12, giusto prima che la pizzeria della sua famiglia si riempia di turisti e napoletani. «Sono la quarta generazione, mia nonna Concetta, vendeva le pizze a otto giorni, con pagamento posticipato, girando di basso in basso. Nel 1951 aprì la nostra pizzeria, che occupa da allora i locali di via Arena della Sanità, al pian terreno del palazzo De Liguori, la casa di Sant’Alfonso Maria De Liguori, proprio accanto all’antica edicola votiva dedicata a Santa Maria della Sanità, San Vincenzo Ferreri e Sant’Anna. Di qui la dizione ai tre santi».
Proseguendo il discorso racconta del suo moto interiore, del perché della sua irrequietezza e finisce per raccontare con trasporto i suoi progetti, lasciando trasparire tutta la sua fattiva irrequietezza. «Vede, i pregiudizi… Io un giorno mi sono stufato di essere della Sanità, quella pronunciata dai più con timore o rassegnazione, e ho deciso di contribuire affinché il mio quartiere cominciasse ad essere pronunciato a bocca ben aperta, ancora meglio se con un sorriso. Davvero non ne posso più di sentirci raccontati sempre attraverso le parole della cronaca nera. C’è tanta bellezza qui, tanta operosità, tanta dedizione all’eccellenza, eppure emergiamo sempre a causa della minoranza rumorosa. Un giorno mi dissi: basta!». Ciro ogni tanto batte i pugni sul tavolo, e non ti perde mai con lo sguardo. «La nostra pizzeria deve essere una delle vetrine del mio quartiere, qui l’eccellenza deve essere rispecchiata in ogni sua essenza. Gli ingredienti devono essere i migliori, la lievitazione perfetta e i camerieri impeccabili, assolutamente dediti e pronti. Non ci deve essere una lamentela. Voglio dimostrare ai tanti turisti ma anche ai tanti concittadini quanto siamo bravi noi napoletani quando ci impegniamo, quanto sia erroneo lo stereotipo che ci vede incatenati ad un non ben identificato lassismo».
Ciro mi racconta che l’impegno della sua famiglia è quello di incidere con la propria attività sul quartiere coinvolgendolo il più possibile in un trasversale processo virtuoso: «siamo impegnati con la Fondazione San Gennaro – che, tra l’altro, tutela le catacombe – e abbiamo creato una pizza omonima i cui ingredienti sono stati scelti dai bambini del rione. Abbiamo realizzato una pizza simbolicamente forte perché duplice: bianca con la Provola affumicata o rossa con l’aggiunta di un’ombra di Antico Pomodoro di Napoli “Miracolo di San Gennaro” e un centro di Pomodorino Corbarino, ricco di succo. I clienti potranno scegliere, dunque, se vogliono la pizza bianca o rossa ovvero “con o senza Miracolo”. Per celebrare il legame con il nostro rione, il cornicione della “Pizza Fondazione San Gennaro”, è stato riempito, poi, di salame di Napoli, provola affumicata e delle briciole dei tradizionali taralli “’nzogna e pepe” fatti nella Sanità. Parte dei proventi della vendita di questa pizza andranno alla fondazione».
Tornando al profano, l’offerta delle pizze di Concettina è sterminata. Oltre alle notevolissime fritte, tra le migliori che io abbia mai mangiato, ci sono le classiche e alcune eccellenti innovazioni (su tutte la “bomba”, con salame e cicoli). La cosa che rallegra, inoltre, è che c’è un’ampia forbice di prezzi: si parte da marinara e margherita in vendita a 3,50 euro, fino a pizze più sofisticate con prezzi un po’ più elevati. Questo rende la visita alla pizzeria un’esperienza sempre nuova e modulabile. Gli ingredienti ottimi e spesso ricercati finiscono, quindi, per incuriosirti ed obbligarti a un ritorno. «Abbiamo voluto realizzare un luogo democratico in cui poter ospitare dal pensionato al professionista, dall’operaio al notaio. Garantendo a tutti l’eccellenza ed una scelta in linea con le possibilità di ognuno. Manteniamo poi la tradizione della pizza sospesa, ovvero già saldata. I clienti spesso lasciano alcune pizze pagate. Ne distribuiamo una ventina a settimana, consentiamo in questo modo a tutti di farsi passare lo sfizio della pizza anche se le finanze non lo consentirebbero. È un altro modo di contribuire alla felicità del quartiere, del nostro quartiere».
Lo saluto con un sorriso, e ripercorrendo con il motorino l’itinerario inverso, inerpicandomi verso il Vomero, non riesco con il pensiero a separarmi dall’avvenenza della Sanità e dei suoi industriosi abitanti. Più prosaicamente, m’accompagna ancora il sapore sublime della pizza ripiena di scarole, cotta a legna e guarnita con olive nere e alici salate di Cetara e mi sembra ancora più insensato l’avvertimento che mi avevano dato un’oretta prima al telefono, quel “stai attento” che ora, dopo aver visto, appare addirittura infamante nei confronti di chi lavora con fatica per sgretolare il pregiudizio.