Consigli di bellezza nell’antica Roma, parola di Ovidio

Nell’ “Arte di amare” la cura del corpo è imprescindibile per entrambi i sessi (agli uomini però si consiglia di non eccedere: cosa direbbero i Romani di cerette e antirughe per lui?), a cominciare da una perfetta pulizia di pelle, capelli, unghie e denti fino a vestiti e calzari, che devono essere anch’essi in ordine, senza macchie e della giusta misura: un alito maleodorante, unghie troppo sporgenti o peli che fanno capolino dalle narici allontanano, infatti, eventuali occasioni di successo in amore.

ovidio

Chi parla è Ovidio, che, nella sua opera “Ars amandi”, dispensa preziosi consigli: se la natura non è stata propizia, donando pelle rosea e folte sopracciglia, è ben opportuno il ricorso a cosmetici e belletti e talora anche a rimedi più impegnativi, quali “feccia”, “esipo”, “midollo di cerva” ed altri (spesso puzzolenti) unguenti con cui trattare il corpo, da usare in momenti in cui l’amante è assente, giacché è bene che “molte cose l’uomo ignori, la gran parte delle quali lo disgusterebbe se non gli fosse celata”.

cura del corpo antica roma

Sono soprattutto le donne meno fortunate esteticamente, quelle che la natura non ha favorito e che sono peraltro, a suo dire, le più numerose, a cui il poeta si rivolge con devota assistenza. A loro consiglia di dissimulare i propri difetti con semplicità: se sei piccina, siedi; se sei troppo magra, vestiti con tessuti compatti e pesanti; se hai un brutto piede, calzalo bene in un sandalo bianco; se hai il seno troppo piccolo, fascialo per ingrandirlo. Non ridere a bocca aperta, se hai denti storti e non parlare se sei digiuna e temi di avere alito pesante. Naturalmente anche il portamento e la voce vanno resi più aggraziati, perché nella danza e nella declamazione della poesia possa rifulgere la bellezza muliebre.

profumi antica roma

Insomma anche nella Roma antica l’arte di farsi belli richiedeva tempo e denaro. Sebbene ci si lavasse di solito in coincidenza con il mercato (ogni nove giorni), le donne si detergevano quotidianamente braccia e gambe, si depilavano, si pettinavano, si sbiancavano i denti, si profumavano con pozioni realizzate – macerando specie odorose, come gigli, viole e rose – da maestri profumieri. Sapone, rossetto, vasettino per unguenti, polvere di fiori ed erbe secche da strofinare sul capo non mancavano mai sulla toletta di una matrona insieme a boccette per contenere unguenti profumati, come antichi beautycase, molti dei quali sono riemersi intatti da Cuma e da Pompei e possono essere ammirati ancora nelle collezioni dei musei napoletani.

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