Sotto il vessillo della contaminazione tra stili e generi, tra miti e civiltà si percepisce l’illusorio indugio di una clessidra ‘senza tempo’!
Sabato 29 maggio 2021 il Decumano di via dei Tribunali che si incrocia con Piazzetta Pietrasanta è diventato cuore pulsante dell’ insula della musica, insula cara a Raffaele Iovine presidente della Pietrasanta, mentre risuonavano le note ritmate e struggenti del tango argentino di Astor Pantaleon Piazzolla. Le percussioni, che per natura rievocano timbri ancestrali e primitivi come quelli dei riti dionisiaci della tragedia greca, hanno scandito l’ incipit di quella linea melodica nota anche ai non addetti ai lavori perché ricorrente in diverse colonne sonore cinematografiche.
Il tempo della percussione risuonava nel silenzio della Piazzetta fondendosi col ritmo dei battiti del cuore dei partenopei, e non solo, riunitisi per ascoltare rapiti. Il ritmo e i movimenti del tempo musicale venivano quasi scolpiti nell ‘aria dalla direzione d’orchestra del Maestro Jonny Grima che con passione e professionalità ha diretto i ragazzi e le ragazze del Liceo Musicale Margherita di Savoia nell’ esecuzione del Libertango di Astor Piazzolla, il musicista che avrebbe compiuto 100 anni nel marzo 2021, innovatore indiscusso del tango grazie a una fusione tra flussi diversi, popolari e colti , fusione che ha il sapore della contaminazione tra generi in quanto assorbe, ad esempio, elementi presi dalla musica jazz, per la proposizione di un linguaggio nuovo fatto di note dissonanti dal timbro caldo, di tecniche improvvisative e di una straordinaria popolarità che gli ha consentito di andare oltre i confini argentini. La fusione ideale del sonoro battito delle mani delle migliori esecuzioni concertistiche del Libertango, fatte nel corso del tempo, col battito del cuore dei presenti ha ridato voce a quella sincronizzazione del ritmo della città, greca in ogni marmo e idioma, che si riversa nelle fasi della vita dei figli di Parthenope. Il tango come espressione performativa nasce dal desiderio di ritrovarsi dei migranti lontani dalla terra natia, dalle reminiscenze che li accompagnano, dalla nostalgia che ne discende: come un fiume in piena la vena di tristezza viene interiorizzata e trova voce nella danza più sensuale il tango, che evoca vicinanza nella fisicità per elaborare la lontananza da cui invece trae origine.
Intanto la greca Parthenope, figlia, secondo la versione più arcaica del mito, del dio fiume Acheloo e della madre terra Persefone – quella figlia di Demetra dispersa poi ritrovata ma solo per una parte dell ‘anno – dava voce anche alla malinconia per la partenza dell’ amato Cimone che sceglie, dopo il paradiso che si rinnova in ogni abbraccio con la sua Parthenope, di prodigarsi in gesta guerriere per la Grecia da cui i due innamorati erano partiti per il parere contrario del padre di quella vergine gentile nei modi e sensuale nelle fattezze. Siffatta crisalide di simbologia, che rimanda agli elementi primari della natura, ci rinnova l ‘invito ad addentrarci nell’ ermeneutica dei miti per cogliere i valori antropologici più profondi della dimensione metatemporale dell’ immaginario collettivo. Parthenope ancora si staglia nella parte più alta della terra in cui approda con Cimone e la sua voce diventa strumento solista. E quando Cimone decide di seguire l ‘istinto bellico a sostegno della terra natia da cui si era distaccato , lascia la bellezza greca per antonomasia che nostalgica ne attende il ritorno. Quel moto dell’ animo di Parthenope si ritrova in tutta la sua dolce malinconia nel popolo che ancora oggi interpreta la grecità in ogni sua forma di vita. E d ‘altronde, la linea di discendenza greca è più che tracciata nell’ ambito della origine divina di Parthenope nipote della dea greca Demetra, figure femminili luci simboliche di rinascita e di armonia del popolo partenopeo in una dimensione senza scansioni strutturate.
Pathos e adattamento, dolore ed eros, conservazione e rinnovamento al di là del tempo sono questi gli impulsi della vita dell’ anima del popolo di Parthenope attraverso scelte di verità che sono ferite dell ‘anima gridate al mondo per poter guarire. La sottile ironia del sorriso che accompagna le vicissitudini quotidiane ha una giustificazione storica perché da ogni drammatica circostanza i napoletani si sono rialzati proprio nei luoghi che hanno visto la contaminazione di livelli di civiltà, dai diversi flussi dei greci alla fase latina, nell ‘ambito del tempo che ha preceduto normanni, francesi, spagnoli, trasformatisi gradualmente in evoluzioni urbane e storie fatte di ogni epoca. Le divinità greche hanno dunque accompagnato la fondazione della città in un ‘alea di vaghezza e verità storica che consentisse di riconoscere personificazioni di elementi ambientali, come l’ acqua e la terra, a garanzia della sua immagine travalicando tutte le trasformazioni nel tempo per rendere a ogni età dei posteri l ‘ emblema di società ideale.
Il primo canto, musica sonora, resta quello di Parthenope, la cui bellezza rimembrava quella di Giunone o di Minerva, ma anche di Venere, come armonia della bellezza e del sapere.
Il canto d’amore di Parthenope si può ritenere premessa per la storia della canzone napoletana : le sue origini sono una leggenda e un mito che, nei secoli, diventerà realtà. Napoli ha sempre fatto suoi gioia, dolore, amore, tragedie e le origini del canto napoletano si perdono nella notte dei tempi tra quei miti e quelle leggende che hanno cantato pathos ed eros, e ritrova le sue radici nelle espressioni canore della bella greca Parthenope. Gioie intrise di malinconie che abbiamo riascoltato anche nel Libertango, argentino ma anche così napoletano, di Astor Piazzolla!
Intanto la greca Parthenope, figlia, secondo la versione più arcaica del mito, del dio fiume Acheloo e della madre terra Persefone – quella figlia di Demetra dispersa poi ritrovata ma solo per una parte dell ‘anno – dava voce anche alla malinconia per la partenza dell’ amato Cimone che sceglie, dopo il paradiso che si rinnova in ogni abbraccio con la sua Parthenope, di prodigarsi in gesta guerriere per la Grecia da cui i due innamorati erano partiti per il parere contrario del padre di quella vergine gentile nei modi e sensuale nelle fattezze. Siffatta crisalide di simbologia, che rimanda agli elementi primari della natura, ci rinnova l ‘invito ad addentrarci nell’ ermeneutica dei miti per cogliere i valori antropologici più profondi della dimensione metatemporale dell’ immaginario collettivo. Parthenope ancora si staglia nella parte più alta della terra in cui approda con Cimone e la sua voce diventa strumento solista. E quando Cimone decide di seguire l ‘istinto bellico a sostegno della terra natia da cui si era distaccato , lascia la bellezza greca per antonomasia che nostalgica ne attende il ritorno. Quel moto dell’ animo di Parthenope si ritrova in tutta la sua dolce malinconia nel popolo che ancora oggi interpreta la grecità in ogni sua forma di vita. E d ‘altronde, la linea di discendenza greca è più che tracciata nell’ ambito della origine divina di Parthenope nipote della dea greca Demetra, figure femminili luci simboliche di rinascita e di armonia del popolo partenopeo in una dimensione senza scansioni strutturate.
Pathos e adattamento, dolore ed eros, conservazione e rinnovamento al di là del tempo sono questi gli impulsi della vita dell’ anima del popolo di Parthenope attraverso scelte di verità che sono ferite dell ‘anima gridate al mondo per poter guarire. La sottile ironia del sorriso che accompagna le vicissitudini quotidiane ha una giustificazione storica perché da ogni drammatica circostanza i napoletani si sono rialzati proprio nei luoghi che hanno visto la contaminazione di livelli di civiltà, dai diversi flussi dei greci alla fase latina, nell ‘ambito del tempo che ha preceduto normanni, francesi, spagnoli, trasformatisi gradualmente in evoluzioni urbane e storie fatte di ogni epoca. Le divinità greche hanno dunque accompagnato la fondazione della città in un ‘alea di vaghezza e verità storica che consentisse di riconoscere personificazioni di elementi ambientali, come l’ acqua e la terra, a garanzia della sua immagine travalicando tutte le trasformazioni nel tempo per rendere a ogni età dei posteri l ‘ emblema di società ideale.
Il primo canto, musica sonora, resta quello di Parthenope, la cui bellezza rimembrava quella di Giunone o di Minerva, ma anche di Venere, come armonia della bellezza e del sapere.
Il canto d’amore di Parthenope si può ritenere premessa per la storia della canzone napoletana : le sue origini sono una leggenda e un mito che, nei secoli, diventerà realtà. Napoli ha sempre fatto suoi gioia, dolore, amore, tragedie e le origini del canto napoletano si perdono nella notte dei tempi tra quei miti e quelle leggende che hanno cantato pathos ed eros, e ritrova le sue radici nelle espressioni canore della bella greca Parthenope. Gioie intrise di malinconie che abbiamo riascoltato anche nel Libertango, argentino ma anche così napoletano, di Astor Piazzolla!