È possibile raccontare la musica? Forse della musica, quella che si fa nascere, quella del cui viaggio si decide l’inizio e si seguono costantemente le sorti, gli onori e la gloria, sì. Dietro ogni canzone c’è un mondo fatto di emozioni, di accordi sbagliati, di gioie, di storie finite e di amori in erba, di vita, di anni di studio e di strade da percorrere.
È da tempo, poi, che a tutto questo – che attiene a colui che compone e a coloro che producono – si sono aggiunti altri mondi, quelli spettanti invece a chi la musica la fa girare, perché la promuove e, per così dire, la ‘vende’, dimensione che compete anche ai discografici, al management, alle radio, ai talent e così via. Ne abbiamo parlato con un’esponente della nuova discografia indipendente, Enzo Velotto, musicista, fondatore e manager di una delle etichette più attive sul territorio, la ventennale ViceVersa Records, e da cinque anni a capo dell’etichetta di servizio Seltz Recordz.

Qual è il tuo rapporto con la musica?
“D’amore, anzitutto. Ho ereditato dalla mia storia personale questa passione, suono la batteria da anni e perciò vivo dal di dentro la dimensione di un musicista. Mio padre è stato un eccellente pianista, sebbene ‘orecchista’, ed ha accompagnato tutta la mia infanzia con le note del suo pianoforte. Era capace di suonare di tutto, dal jazz allo swing, dalla canzone melodica a quella tradizionale, scrivendo e arrangiando pezzi anche per il teatro o per il cabaret; in casa ho respirato spettacolo ed ispirazione, e credo questo sia stato formativo per me; certo è che sono qua e vivo di musica da dentro e da fuori, attraversandola anche [ride, n.d.r.]”.
So che è difficile raccontare il dietro le quinte di un lavoro complesso come il tuo ma, per esempio, una volta stabilito che un progetto valga la pena di essere seguito, come distingui gli artisti che usciranno su un’etichetta piuttosto che su un’altra?

“Voglio precisare che si lavora in équipe e che insieme condividiamo ogni scelta artistica che facciamo: per ideologia siamo orientati a produrre solo quello che ci piace e ciò in cui crediamo indipendentemente dal trend del momento. Insomma, non ci omologhiamo; d’altronde, è di questo che ha bisogno la musica, quando ha un suo valore necessita di libertà. Stabilito ciò, diciamo che gli artisti cosiddetti ‘seminali’ escono con la Seltz Recordz, laddove noi, come in una sorta di scuderia, supportiamo l’artista nella fase di crescita, seguendolo e mettendogli a disposizione tutto ciò che occorre affinché possa uscire con il suo disco. Questa fase è fondamentale per entrambi. Solo successivamente, individuata quella indispensabile maturazione artistica dell’autore o della band, si passa ad essere ‘prodotti’ direttamente dalla ViceVersa Records.

Il 2019 è stato un anno molto proficuo per voi, anche con l’uscita di nomi di punta del panorama musicale italiano: come avete operato?
“Sì, abbiamo seguito Volwo, nota band milanese uscita con un disco bellissimo lo scorso anno e selezionata da Gad Lerner per la sigla di un suo programma; Andrea Cassese, cantautore partenopeo molto interessante che è già al suo secondo album e che da nuova promessa della scena musicale ha decisamente consolidato la sua produzione, e un giovanissimo gruppo rock, i Caleidø, straordinari – considerando la loro giovane età – nei testi, nelle sonorità e nelle atmosfere; ancora, Erri (alter ego di Carlo Natoli) sospeso tra la psicadelia e il cantautorato, molto interessante; e poi Luca Madonia. Siamo al lavoro quest’anno per diverse uscite sulle quali puntiamo molto: usciremo con Stefano Meli, chitarrista di origini ragusane al suo settimo disco, molto apprezzato in ambito internazionale con il suo ‘blues desertico’. Poi ancora Jacaranda, ensamble multietnico che risulta essere un vero e proprio esperimento sulle radici mediterranee della nostra musica e della nostra società. Poi ancora un disco di ben 17 duetti con artisti di fama internazionale, un bel progetto pop firmato Daniele Guastella e poi, per finire, diciamo così, Nazarin, ex frontman dei Marlowe, al suo secondo disco da solista.

Dove credi vada la musica?
“Dove sta andando vuoi dire? Beh…che dire. La musica buona sopravvive e resiste con la forza e la determinazione di chi crede, investe e rischia anche, noi ne siamo prova evidente, poi però il discorso è lungo e complesso, desolante per certi versi. Vedi le cosiddette majors hanno perduto qualunque potere e capacità propulsiva, propositiva e creativa, non hanno più nè le competenze, nè le strutture per poter lanciare e distribuire nuove correnti o nuovi artisti avendo perso il contatto con il territorio, limitandosi ad amministrare i loro cataloghi e a cercare nuovi cloni di artisti di successo (garantito) attraverso i soli talent che loro stessi finanziano”.
E sull’aspetto degli ascolti musicali dal web che hanno penalizzato il mercato, qual è la tua opinione?
“Questa è una questione controversa perché è vero che dalle piattaforme digitali si ascolta e si scarica musica per pochi centesimi ma è pur vero che parallelamente si sta riscoprendo il gusto del vinile e molti artisti stanno optando per questa soluzione ‘da collezionisti’, mentre si assiste al cosiddetto successo di un brano sulla base delle sole visualizzazioni sul web. La verità è che c’è una gran confusione e il tempo sembra divorare ogni cosa”.

A questo punto non posso esimermi: nostalgia di Sanremo?
“Perché nostalgia? Parte tra qualche giorno… il ‘Festival della Società Italiana’. Lo chiamerei così visto che con la musica ormai ci azzecca veramente pochissimo. Audience a tutti i costi, sensazionalismo, scandaletti costruiti ad hoc e soprattutto lottizzazione e familismo. Il festival degli amici, figli, nipoti, mogli, fidanzate, amanti di… Gli eterni inciuci tra discografici, editori, faccendieri e la sempiterna lotteria degli esclusi eccellenti con relativi strascichi e strascini. La meritocrazia abita altrove, come la buona musica. Fortunatamente tra i reduci – i dimenticabilissimi baciati dai talent, le eterne promesse e i fenomeni da baraccone – qualcosa come ogni anno si salverà, grazie alla qualità degli arrangiamenti, alla bravura degli autori, all’outfit e alla presenza scenica dei cantanti. Per ora trionfa l’ipocrisia – tutta nazionale, quella del ‘signora mia, come si fa a presentare uno così su Rai 1’, della polemica sulla bellezza e presunta notorietà degli ospiti e collaboratrici (come se una volta venissero scelte per il loro contributo alla ricerca scientifica…). Alla fine, l’unico vero vincitore sarà l’incasso pubblicitario in nome del quale ci si dimenticherà di blasfemia, violenze verbali, minigonne, farfalline e… canzoni. Ma non conta, le celebrazioni a volte impongono compromessi e l’importante sarà riuscire – come sempre – a farsi quattro risate in compagnia di pizza e amici, godendosi la meravigliosa bravura della sempre sottovalutata orchestra. E chissà, magari quest’anno qualcosa ci sorprenderà davvero… Perché Sanremo è Sanremo“.