Covid-19, Napoli vista dalla storica edicola di piazza Dante

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Napoli. Piazza Dante, ore 9,00. Il vuoto più assoluto, immerso in un silenzio surreale, qualche colore sparso qua e là, testimone di recente normalità. Negozi chiusi, saracinesche abbassate, solo qualche cane in uscita in compagnia del suo padrone, e null’altro. Ma appena si attraversa l’intera piazza, all’angolo, a pochi metri dalla statua del sommo poeta, ecco spuntare il rigoglio straripante della storica edicola, lì da sessant’anni.

Appartenuta alla famiglia dell’attuale esercente Vincenzo Gallo, il rinomato chiosco adibito alla vendita di giornali è lì, puntuale, come ogni mattina; in bella mostra i suoi quotidiani, riviste colorate, prontuari e giornali d’ogni tipo, cruciverba e figurine. Residuo di una quotidianità perduta, quell’edicola sembra regalare certezze, rassicurandoci che #andràtuttobene. Nonostante sia stato concesso alla categoria di restare aperti perché afferenti a beni di prima necessità, la cultura chiede aiuto dinnanzi ad una popolazione che, impaurita, stenta ad approvvigionarsi della sua quotidiana dose di informazione cartacea. Già, perché è doveroso fare i conti anche con il web, suo principale concorrente. L’atmosfera di questi giorni intanto è davvero stringente, persecutoria, soffocante in una città alle prese con regole e rigidi controlli che pare aver fatto precipitare tutti all’inferno. Ma che significa in un tempo come questo vendere i giornali, aprire la propria edicola alle 6 del mattino e restarci sino a sera, con a seguito mascherine e guanti di lattice? Ce ne ha parlato Vincenzo Gallo.

“È un momento molto difficile, nel quale si fa davvero fatica ad andare avanti, a restare fuori casa per così poche vendite. Eppure – e sorride – stando a casa si dovrebbe leggere di più e invece non è proprio così, ma i motivi sono tanti: turisti zero, gente di passaggio poca; la vedi sospettosa, sfuggente e di cattivo umore”.

Il decreto vi ha consentito di restare aperti o siete obbligati a farlo?

“Non siamo obbligati, qualche collega ha chiuso o ha scelto la mezza giornata, ma non conviene per i resi e tutto il resto, e poi c’è, per quei pochi assidui clienti della zona, l’abitudine all’acquisto del quotidiano, con i suoi allegati settimanali e così via”.

In giro c’è qualcuno senza mascherina ma lei ha paura, cioè si sente a rischio?

“Io sono molto fatalista. Certo, rispetto le regole di distanza ma credo anche che tutto ciò ci stia facendo perdere il gusto di scambiare una parola, di sentirsi vivi”.

In un momento come questo in cui la parola emergenza sembra essere divenuta l’unica regola di sopravvivenza cosa la spinge ad andare avanti?

“Io sto qua da diciotto anni e ci resto per passione. Ho imparato questo mestiere sin da bambino con mio padre che mi insegnava il lavoro di mio nonno; pian piano ho fatto mia questa edicola e non sarà certo questa epidemia a farmi cambiare strada. I tempi sono cambiati, certo, ricordo il fascino della notte in cui si ricevevano i giornali, ancora caldi di tipografia e si aspettava l’alba per i primi clienti, ce n’erano tanti. Poi man mano il web si è impossessato dei più giovani e oggi la pandemia… lei mi chiede che significa aprire la mia edicola? Tutto, è la mia vita e non potrei farne a meno. L’unico mio desiderio resta quello di riprenderci la nostra libertà, di fare due chiacchiere con i clienti, lasciare che sbircino dai titoloni di prima pagina l’ultima notizia e perché no, dividerci anche un bel caffè. Noi vendiamo informazione e la cultura, anche in tempi come questi, non può sparire, ma resistere”.

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