Ospitata presso la libreria Libridine di Portici, il presidio culturale scampato alla chiusura grazie alla solidarietà di cittadini e istituzioni, l’esposizione fotografica permanente di Maria Rosaria Varone, porticese di nuova acquisizione, Dal mare negato al mare restituito è un vero e proprio percorso partecipato attraverso il quale la fotografa intende descrivere non solo il difficile rapporto tra mare e città, ma anche le opportunità insite nella riscoperta di questo rapporto. Da questa angolatura il lavoro fotografico di Maria Rosaria Varone va letto come un’indagine di ecologia visiva tesa a ricostruire il vissuto, individuale e sociale, che lega comunità e ambiente, in tal caso i porticesi alla loro città, con immagini che ne ritraggono la costa, il panorama, le splendide ville, ma anche dettagli nascosti che la rendono sorprendente.

Non è importante per l’autrice ritrarre la realtà – facendosi magari supportare da dati, cifre, grafici e report – quanto piuttosto cogliere l’esperienza soggettiva di ciascuno, insinuare nel cuore l’interrogativo: “che rapporto ho io, che rapporto hanno le persone con il mare della città?”. “Si tratterebbe di cogliere – spiega Maria Rosaria Varone – un vissuto che si alimenta della relazione da ciascuno intrattenuta con il proprio territorio. Quest’ultimo, infatti, ci si rivela non tanto per quello che “oggettivamente” è, ma per gli orizzonti e per gli scenari di possibilità che è in grado di aprire”. E la ricerca del senso compiuta attraverso l’immagine consente di trarsi fuori da sterili alternative, come quella tra approccio estetico e approccio documentaristico: se il suo scopo è quello di installarsi nel cuore di un vissuto che è relazione, un reportage, come lo ha inteso la Varone, può avvalersi di entrambi, perché, nell’essenza, non si esaurisce in nessuno dei due.

Allo stesso modo, il mare che narrano gli scatti della fotografa non è né il mare negato, né il mare restituito; è entrambe le cose, ma anche più che questo: è il suo porgersi in una molteplicità di dimensioni, talora come bellezza, talaltra come degrado; talora come apertura, talaltra come ostacolo; talora come vita, talaltra come sua negazione. Una oscillazione costante ma dal ritmo irregolare tra scissione e tentativi di conciliazione, che reca in sé forse qualcosa d’altro, e di nuovo, che non ancora del tutto s’è mostrato. E che, a ben vedere, rappresenta quella ambiguità di sentimenti a cui spinge la terra campana, amata e odiata, accessibile per clima e umore, e sconsigliabile per la sua dolosa indolenza.

Ed ecco che il mare di Maria Rosaria Varone, a cui i piani industriali scellerati e il conseguente degrado hanno sottratto lo spazio da abitare, rendendolo sempre più marginale nel nostro quotidiano, diventa una metafora della libertà: restituito, non solo fisicamente, è apertura al nuovo, ricongiungimento, negato una chiusura alla vita, a ciò che viene da fuori. Anche se ci mette in guardia l’autrice degli interessanti scatti: “la libertà non è un dato, bensì una costruzione. Liberi non si nasce, si impara ad esserlo; dirigere lo sguardo in modo da essere capaci di riconoscere il reale e di progettare il possibile è perciò un esercizio di libertà ed una educazione alla libertà”. E il percorso fotografico di Maria Rosaria Varone, ospitato dalla Libreria Libridine di Portici, ce lo mostra in tutta la sua evidente bellezza.