Un pezzo di Spagna a Napoli. Sul fiume di via Toledo, che ospita la più bella stazione della metropolitana d’Europa, affluiscono tanti piccoli vicoli che rappresentano i famosi Quartieri Spagnoli. Quartieri che per troppo tempo sono stati solo tristemente famosi, fino a rialzare la testa grazie al fiorire del turismo favorito dal folklore della zona. Accompagno mio nipote nel punto maggiormente riconosciuto come l’ingresso ai Quartieri Spagnoli.
“Zio, perché si chiamano Quartieri Spagnoli? È un omaggio alla Spagna?”.
“Proprio omaggio direi di no… questa zona è sorta nel XVI secolo per accogliere le guarnigioni militari spagnole che avevano il compito di reprimere eventuali rivolte del popolo napoletano!”.
“Ah… bene, io pensavo che fosse qualcosa di divertente!”.
“Ora vedi molto folklore, persone che ti invitano a pranzare nelle loro pizzerie, ma questo è sempre stato un quartiere pericoloso! E la colpa non è tutta dei napoletani, eh… già nel periodo della loro nascita erano un covo per criminalità e prostituzione… perché ai soldati spagnoli piaceva divertirsi”.
“E poi cos’è successo?”.
“Niente… piano piano stiamo cercando di risollevare le sorti di questo quartiere”.
“Zio, ma io sento spesso parlare delle dominazioni a Napoli, di quanto siamo un popolo accogliente da sempre… ma non è che invece ci siamo lasciati sfruttare?”.
La domanda di mio nipote, come spesso accade, contiene già in sé la risposta.
“Vedi, nella mia personalissima opinione, diciamo che nel tempo siamo stati il popolo del “prego, entrate, e fate quello che volete”. E di base, potrebbe anche non essere male come ragionamento… il problema è che chi è entrato in questa città si è preso il dito con tutta la mano. Questa città è troppo facile da sfruttare fino a ridurla allo stremo. E alla fine poi non ci resta che fare le rivolte…”.
“A questo punto non sarebbe meglio evitare le dominazioni?”.
“La parola “dominazione” è sempre da evitare perché include in sé la perdita della libertà. L’accoglienza è un’altra cosa… chiunque verrà a Napoli troverà sempre le porte aperte, ma chi volesse sfruttarla senza averne il giusto rispetto è giusto che resti fuori”.
“Zio, però non credi che sia un po’ colpa nostra? Se io lascio aperta la porta di casa mia senza averne io per primo rispetto, è normale che poi chi entra fa quello che vuole, no?”.
L’esempio è perfetto e mio nipote ha ragione come sempre. La prossima volta che qualcuno dovesse bussare alla nostra porta sarebbe meglio dire: “prego, entrate, fate come se foste a casa vostra, però… trattate questa città come se non fosse solo casa vostra”.