‘Ma è mai possibile che sta città nun te fa venì in mente niente a raccuntà? ’. Sorrentino ce l’ha qualcosa da raccontare e lo fa nel modo che più ama: attraverso il cinema. Da questa domanda provocatoria il regista napoletano gira un film in cui celebra in maniera commovente la bellezza della sua città.
L’emozione del calcio e la vittoria dello scudetto raccontate dal film più personale e doloroso di Paolo Sorrentino.
Correva l’anno 1987 quando si verificò un evento senza precedenti che investì la città di Napoli di forti emozioni ed euforia: la squadra del Napoli vinceva il suo primo scudetto guidata da Diego Armando Maradona. Evento straordinario che Sorrentino ricorda bene e che gli ha permesso di superare un periodo della sua vita in cui la tragedia era protagonista indiscussa. Perché Sorrentino unisce nel film della sua vita un episodio così felice e uno così drammatico? Probabilmente perché lo scudetto vinto dalla squadra è stato il miracolo che gli ha salvato la vita, evitandogli di recarsi un pomeriggio a Roccaraso in una baita di famiglia. Qui accade la tragedia inaspettata: i genitori muoiono vittime di un incendio per colpa di una stufa, avvelenati da monossido di carbonio. Ma Sorrentino quel giorno decide di restare a Napoli. Lui vuole vedere Maradona.
È un film delicato, non immediato e per certi aspetti anche ermetico, perché quando si prova a parlare di un dolore non è semplice trovare le parole giuste e allora Sorrentino anziché puntare alla sceneggiatura del film, cerca di far parlare lo sfondo silenzio della sua meravigliosa e dolorosa città. Napoli che in questo film non è solo sfondo paesaggistico, ma diventa quasi protagonista, testimone dei traumi e dei brutti ricordi dell’infanzia di Sorrentino. Napoli con la sua galleria, con il suo mare sconfinato, con gli infiniti pranzi domenicali di famiglia. Non è un film semplice, come non sono semplici i sentimenti che legano il regista alla sua città, nei confronti della quale prova una dolce malinconia e cerca di fuggire, di allontanarsi da un posto che è fonte di dolore e che gli ricorda tutto ciò che ha perso in un tempo breve quanto un tiro di pallone nella porta. Eppure, Napoli viene descritta e rappresentata sempre con inquadrature poetiche, fotografata nei suoi momenti docili e innocenti, quando sembra priva di colpe e di sporcizia, perché come scrive stesso Sorrentino: “Solo la mia città ha un minimo di senso con quell’apertura alata al mare, sterminata. Ti dà la sensazione che se vuoi puoi fuggire”. Libertà e fuga: due parole che chi vive a Napoli comprende a pieno, che Sorrentino stesso comprende e per questo sente la necessità di andare via.
Ma Sorrentino sa anche di non potersi mai separare da Napoli e cerca di ritornarci non solo fisicamente recandosi sul luogo, ma anche metaforicamente, facendo un tuffo nel passato attraverso il racconto del suo film. Napoli è un continuo scappare, ritornare, una carezza dopo un pugno in faccia che sa di verità amara, e in questo continuo andare e ritornare sapere riconoscere l’ipocrisia di chi non ha il coraggio di vivere come i napoletani. Sorrentino ci racconta tutto questo attraverso le immagini di una tifoseria fomentata per la vittoria dello scudetto, attraverso l’erotismo della zia, simbolo della sensualità di tutte le donne di Napoli, attraverso quel discorso quasi incomprensibile di Capuano che lo incoraggia a non disunirsi. Sembrerà strano, soprattutto se consideriamo i numerosi giovani che lasciano la città per trovare un futuro altrove, ma nessun napoletano lascia mai veramente Napoli. La napoletanità è una malattia dalla quale non si guarisce e dalla quale non si vuole guarire, te la porti addosso, come un profumo che neanche sai di possedere.
La città che Sorrentino ci racconta è cambiata inevitabilmente da quella che conosciamo. Oggi siamo nell’anno 2023: i bambini giocano ancora a pallone nelle piazze. I ragazzi ancora passeggiano con i libri sotto al braccio attraversando port’Alba e corso Umberto. I pranzi durano sempre un intero pomeriggio. Il Napoli dopo trentatré anni ha vinto di nuovo lo scudetto e l’animo dei napoletani è più acceso che mai. Si festeggia. Si festeggia per una vittoria non solo calcistica, ma per una vittoria sociale. Napoli potrà ancora una volta sfoggiare il suo talento troppo spesso vittima di pregiudizi invidiosi. Talento che però viene riconosciuto dai suoi abitanti, consapevoli della meraviglia che si stende davanti ai loro occhi. Si festeggia la bellezza della forza d’animo di chi gioisce sempre anche nella miseria e nella sconfitta, soprattutto nel dolore, come ha fatto Sorrentino. I napoletani conoscono i segreti di questa città che insegna la vita e per questo tornano sempre all’unico posto degno di essere considerato casa: la loro misteriosa e magnifica città.