Emanuela Auricchio e la sua “Cassandra Parla”

Cassandra Parla
Cassandra Parla

Oggi a raccontarsi è Emanuela Auricchio, street artist napoletana che ha ideato Cassandra Parla per dare voce alle donne attraverso l’arte. 

Le strade di Napoli da qualche tempo raccontano storie di donne, donne bellissime e imperfette, forti e fragili, prepotenti e delicate, donne soltanto dipinte eppure ferocemente vere. Si tratta del progetto Cassandra Parla, nato nel settembre del 2022 dalla mente e dal talento di Emanuela Auricchio.

Emanuela, innanzitutto, quando e come nasce il progetto Cassandra Parla?

Il progetto Cassandra Parla nasce ufficialmente nel settembre 2022, ma in realtà l’idea di mettere i miei dipinti per strada era già vecchia di un anno! Ero in una sorta di blocco artistico, allora ho pensato di creare qualcosa con quanto già avessi: così è nata l’idea di appendere i miei dipinti in strada e di affiancare a ciascuna opera una frase, un messaggio. Volevo che fossero in napoletano perché per me il napoletano con la sua ‘cattiveria’ è capace di dire molto più di quanto si possa dire in qualsiasi altra lingua, così alcuni slogan li ho tradotti dall’inglese, come ‘Smash the patriarchy’ che è diventato ‘Arrevutamm’ ‘o patriarcato’, altre invece sono citazioni tratte da film e canzoni.

La tua Cassandra parla, ma cosa dice?

Dal momento che nella maggior parte dei miei dipinti ritraggo donne, mi è venuto quasi spontaneo associare questi visi femminili al tema della violenza di genere e delle disuguaglianze. Tutto è nato dalla frase della mia prima Cassandra ‘M’he fatt ‘a piezz pe’ nun m’affruntà sana’ che avevo scritto qualche anno fa a seguito di una mia esperienza personale: ho pensato che molto spesso noi donne ci troviamo ad essere sgretolate piano piano dalla persona che abbiamo di fronte, sono situazioni dalle quali esci senza più sapere chi sei e cosa fare. Conosco davvero tante persone che hanno vissuto un’esperienza del genere e allora ho deciso di continuare su questa strada. Sono tematiche di cui si parla tanto ma, a mio avviso, non è mai abbastanza e nonostante il mio progetto abbia un’indubbia matrice femminile, si tratta di un discorso che può applicarsi a tutti. E’ questo che s’intende per ‘femminismo intersezionale’: un movimento che non riguarda solo le donne ma chiunque si riconosca in queste dinamiche.

La tua arte tra le strade di Napoli non è una novità, già nel 2021 infatti hai lavorato al progetto Artemisia per tutte le donne in qualsiasi modo ‘violate’: di cosa si trattava e cosa ti ha lasciato?

Quello di Artemisia è in assoluto il mio progetto più bello. Anche lui è nato un po’ per caso nel 2021: stavo leggendo Atti di un processo per stupro e, arrivata alla trascrizione del processo di Artemisia Gentileschi, ho notato che non c’erano grosse differenze con quanto accade oggi: diffidenza verso la vittima, minimizzazione della colpa dell’uomo, assurde supposizioni per attribuire una qualche responsabilità alla donna stessa. Così, per spirito di solidarietà, ho deciso di dedicarle una tela. Inizialmente volevo scrivere sullo sfondo i nomi delle donne vittime di violenza, ma poi ho pensato «Perché non lasciarlo fare a loro?». Allora ho deciso di dipingere in strada per un mese, precisamente a Piazza San Domenico, invitando tutte le donne che avessero mai subito violenze a lasciare la propria firma sul quadro raffigurante Artemisia. Contestualmente ho individuato un centro antiviolenza di Napoli e ho avviato una raccolta fondi. È stata un’esperienza difficile sia professionalmente che personalmente ma mi porto dietro un enorme bagaglio di emozioni. 

L’arte ha sempre un’utilità sociale, nasce dall’osservazione della realtà e tenta di incidere sulla stessa, ma la tua è diventata un po’ una missione: sensibilizzare su tematiche importanti e attuali attraverso questo linguaggio universale. Quando ti accorgi che il messaggio è arrivato a destinazione?

Quando in maniera totalmente gratuita e spontanea ricevo messaggi di donne che mi portano la loro solidarietà, che mi raccontano le loro storie di vita e d’amore, che mi regalano le loro lacrime, i loro abbracci, le loro emozioni e mi confidano di essersi sono sentite meno sole grazie alle mie opere. Non si tratta di ricompense materiali, ma alla fine è proprio tutto ciò che c’è di immateriale e di emotivo dietro questi lavori a ripagarmi totalmente.

Qual è il tuo rapporto con Napoli?

Ho un rapporto controverso con Napoli, direi di odi et amo. In questi anni me ne sono spesso allontanata, per andare prima in Spagna e poi a Bologna, ed è stato proprio in questi momenti che l’ho rivalutata perché andando via credo di aver guarito alcune ferite che questa città mi aveva procurato. Oggi so che qui posso esprimere la mia arte perché ho un tessuto culturale e una rete sociale che mi consentono di farlo, è una cosa che prima davo per scontata. D’altronde i miei progetti e i miei dipinti sono nati qui, e allora sono felice di poter restituire a Napoli ciò che mi ha dato.

E nel restituire a Napoli ciò che le ha dato, Emanuela restituisce tanta bellezza anche a noi, osservatori e (fortunati) fruitori della sua arte impegnata che porta, tra i vicoli della nostra città, le istanze delle donne di tutto il mondo.  

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