Lei è Sibilla Aleramo. Una donna, una storia… che diventa innumerevoli storie nelle tante pagine scritte e dedicate agli amori ‘ unici’ della sua travolgente esistenza appassionata.
Ma è la Sibilla che vive per un po’ a Napoli quella che vogliamo ricordare, quella che ha alle spalle il difficile e contrastato amore per Dino Campana, poeta a noi molto caro per la sua esclusiva sensibilità non ascrivibile ad alcuna stigmatizzante, corrente di pensiero e per questo ‘scambiata’ anche per ‘follia’ poetica… La follia dolce della soggettività artistico – emozionale frutto di intuizione e di estro che ha i toni dell’azzardo nella vita del poeta e nell’ elevato lirismo dei suoi Canti Orfici.
Ma è la Sibilla che vive per un po’ a Napoli quella che vogliamo ricordare, quella che ha alle spalle il difficile e contrastato amore per Dino Campana, poeta a noi molto caro per la sua esclusiva sensibilità non ascrivibile ad alcuna stigmatizzante, corrente di pensiero e per questo ‘scambiata’ anche per ‘follia’ poetica… La follia dolce della soggettività artistico – emozionale frutto di intuizione e di estro che ha i toni dell’azzardo nella vita del poeta e nell’ elevato lirismo dei suoi Canti Orfici.
“L’amore per Endimione mi afferrò; anch’esso diverso da ogni altro, forse più forte d’ogni altro, e per due anni fui tutta solamente un grumo d’adorazione e di sofferenza, sin ch’egli non morì“. Così scrive Sibilla e il suo Endimione è all ‘anagrafe Tullio Bozza, morto di tisi nel 1922 a soli 31 anni, ‘Endimione’ è anche il titolo del poema drammatico in tre atti a lui ispirato e dedicato al poeta vate.
Scritto dunque per il suo Endimione e per la loro relazione d’ amore e di sensi, quell’approccio alla letteratura teatrale, come pure le sue lettere, fanno sì che Sibilla viva attraverso quell ‘amore il senso della sua stessa vita per quel periodo temporale. Intanto quel nome, Endimione, richiama lo struggente incanto di un amore altro: Selene, la pallida e luminosa dea della luna innamorata della bellezza pura e mortale di Endimione, pastore ma anche principe, a tal punto da destarne l’onirico ed eterno sguardo ‘incantato’. Quello di Selene ed Endimione, narrato e cantato da Platone, Apollonio Rodio, Catullo, Petrarca, è il mito d’ amore tra i più delicati, perché da comprendere nella intimità del suo significato, e tra i più suggestivi, perché si rivolge al potenziale della sensibilità di ciascuno, che la cultura classica ci abbia consegnato attraverso memorie letterarie e artistico-scultoree, alcune tra queste di silente evocazione perfino della stessa Selene come ‘Endimione dormiente’ di Antonio Canova. Mito che ammalia in ogni tempo, che vede Selene mutata in Proserpina ma anche in Diana, perché linguaggi privilegiati e suscitati ad un tempo sono lo sguardo e il sogno; la dea viene raffigurata nel corso dei secoli con un quarto di luna crescente sulla testa ed in mano una torcia. Simboli che rimandano alla forza della rivelazione del reale e del vero attribuendo significato rilevante a quel che riusciamo a osservare e quindi potenzialmente a comprendere anche senza vederlo.
L’etimologia di Selene indica la ‘risplendente’, colei che illumina, anche l’interiorità dell’amato, mentre quella di Endimione fa riferimento alla dimensione interiore, all’accoglimento con attenzione e cura. E mentre Endimione viene avvolto dallo status onirico, la condizione che si percepisce è la sospensione tra le ‘tenebre’ del ciclo di vita di Selene e la luce del sentimento della stessa divinità. Di certo, l’interrelazione tra testi, tra linguaggi e tra testi e linguaggi che i lettori di ogni tempo mettono in atto contribuisce a creare un parallelo e sempre nuovo, cioè soggetto a metamorfosi, corredo paratestuale che porta ad una rigenerazione degli stessi processi mitopoietici.
E nella luce storica dei sotterranei della Pietrasanta, fatta delle tenebre custodite dai cunicoli scavati con le mani e illuminati dagli sguardi dei visitatori che restano incantati, la dea Selene è ritornata a gettar luce sui percorsi che aprono alle tante prospettive del Museo dell’acqua. Una luna che compie il suo ciclo negli ambienti che rimandano ad altri scenari e tempi risplende anche sui percorsi che la mitopoiesi farà rivivere attraverso i percorsi delle Olimpiadi dei Saperi Positivi che si stanno tenendo con un focus mirato anche sulla forza espressiva della mitologia a Napoli. Il sostrato mitologico come un tessuto connettivale tiene insieme tante fila: da Parthenope a Diana, come abbiamo narrato altre volte, passando per Selene ‘mutata’ come Parthenope in nuove identità verosimili e reali.
E le memorie classiche delle Olimpiadi riaccendono la fiaccola, simbolo di vita dunque – quella fiaccola che detiene Parthenope ma anche Selene – sul poema di Lucrezio che nella forza evocativa del suo De rerum natura riaccende quel processo di ‘mutamento’ necessario fra la chiarezza della filosofia e la luce della poesia, la prima intesa come strumento per attingere alla verità, mai assoluta, nella sua forma più oggettiva, anche se più difficile da comprendere, l’altra come foriera di una verità avvolta dalla grazia dei processi mitopoietici e dunque più comprensibili perché veicolati attraverso le corde della sensibilità intellettiva. E il ‘mutamento’ è il processo imprescindibile perché Selene ed Endimione continuino ad amarsi … in ogni tempo!