Al Teatro Bellini di Napoli, dal 9 al 14 febbraio, in scena “Euridice e Orfeo”, di Valeria Parrella, per la regia di Davide Iodice. Quattro i protagonisti che saliranno sul palcoscenico: Michele Riondino nella parte di Orfeo, Federica Fracassi nella parte di Euridice, e poi Davide Compagnone a interpretare Hermes ed Eleonora Montagnana per le altre figure e per il coro.
A ridosso di San Valentino, festa degli innamorati, il racconto di un amore disperato e drammatico, la tragedia della morte di Euridice e dell’inconsolabile dolore dello sposo Orfeo, sceso per lei fino agli Inferi, ma invano. Come narra il mito, con la sua musica dolcissima che riusciva ad incantare anche le fiere Orfeo aveva commosso perfino Plutone, dio dell’oltretomba, convincendolo a restituirgli la fanciulla riportandola in vita.
Ma non doveva né guardarla né toccarla fino a che non fosse uscito di nuovo alla luce, e nella sua ansia di rivedere il volto amato, di accertarsi che lei lo stesse davvero seguendo, il giovane, voltandosi, perse la sua donna per sempre. Valeria Parrella rielabora il mito proponendone una lettura in chiave contemporanea, andando alla ricerca dell’interpretazione che in tanti, da Cocteau, a Anouilh, a Bufalino, a Pavese, hanno dato del gesto di Orfeo, del suo voltarsi indietro a pochi passi dall’uscita degli Inferi, della motivazione profonda di questo suo voltarsi.
La scrittrice si ispira in particolare a Rilke, e a un bassorilievo custodito nel Museo Archeologico di Napoli, nel quale insieme a Euridice e Orfeo compare Hermes, e ne viene fuori, come lei stessa spiega, “una novella che diventa un testo teatrale, una storia non realistica: piuttosto orientata alla filosofia e alla psicologia della perdita e dell’elaborazione del lutto”.
Ma sul palco non c’è solo la parola, quella scritta trasmessa al pubblico dalla viva voce degli attori, c’è anche il suono, quel canto quasi magico attorno al quale ruota la storia di questo amore sfortunato, la musica che commuove gli animi, che muove le creature, e che infine, nel mito greco, regala un po’ di pace al cuore ferito di Orfeo, riuscendo a tenerlo in vita.
Nell’avvicinarsi a quest’opera, nel riprendere in mano un mito a cui più volte si è ispirato per i suoi lavori, il regista Davide Iodice si è posto una domanda: “Come rendere quel canto, così commovente da ammansire le bestie, così commovente da spalancare le porte degli inferi? Nessuna voce può, mi sono detto. Poi, ascoltando il suono-senso delle parole nella voce viva degli attori, ho inteso che tutta la bellissima prosa poetica del testo fosse quel canto, insieme di Euridice e Orfeo, e allora abbiamo cominciato a lavorare ad un unico flusso sonoro, un concertato o un corale, se vogliamo, che tentasse di restituire alla Parola il suo potere ipnotico, evocativo: la sua emozione”. Quel canto è una dichiarazione d’amore, e probabilmente è proprio questa la sua straordinaria forza.