Filomena Nitti è stata una biochimica napoletana, eccellenza del panorama scientifico del ‘900, di cui si è parlato e si parla troppo poco.
Filomena Nitti nasce a Napoli il 10 gennaio 1909 da Antonia Persico e dal meridionalista Francesco Saverio Nitti, dapprima ministro sotto il Governo Giolitti e poi Presidente del Consiglio nel 1919. Cresce a Napoli assieme ai suoi 4 fratelli fino a quando, nel 1923, l’avvento del fascismo e le continue aggressioni costringono la famiglia alla fuga, prima a Zurigo e poi a Parigi. È proprio a Parigi che Filomena prosegue i suoi studi: s’iscrive al liceo e poi alla facoltà di Scienze naturali, infine si specializza in chimica terapeutica, diventando la prima donna pioniera in questo campo.
Nel 1938 inizia a lavorare presso l’Istituto Pasteur nel laboratorio di chimica terapeutica, dove già lavorava anche suo fratello Federico Nitti. In questo laboratorio conosce il biochimico Daniel Bovet ed è subito amore: i due non si separeranno mai più, condividendo tutto dalla vita professionale a quella sentimentale, e convolando a nozze in meno di un anno.
Sul lavoro Filomena, suo fratello Federico e suo marito Daniel formano un trio eccezionale: studiano la penicillina, mettono a punto il primo farmaco antistaminico e durante la Seconda guerra mondiale prepararono ben 200 000 fiale di siero antitetano e una tonnellata di sulfamidici per i soldati al fronte. Per questo impegno civile però soltanto Daniel Bovet riceverà una medaglia al valore.
Al termine del conflitto mondiale, per i tre studiosi si presenta l’opportunità di tornare in Italia e lavorare nel Laboratorio di chimica terapeutica dell’Istituto Superiore di Sanità. Purtroppo, a partire saranno soltanto Filomena e suo marito, dopo la prematura morte di Federico Nitti a causa della tubercolosi, probabilmente contratta studiando i ceppi del batterio coltivati in laboratorio a Parigi.
Arrivati in Italia, Filomena e Daniel proseguono instancabilmente il lavoro insieme: studiano anestetici, rilassanti muscolari, una serie di sostanze attive sul sistema nervoso centrale e la loro fama supera i confini nazionali. In questo periodo la Nitti affianca al lavoro in laboratorio la formazione di nuove schiere di ricercatori e ricercatrici, e una serie di iniziative nel sociale per combattere l’analfabetismo e per favorire il riscatto del sud Italia.
Nel 1948, come sempre insieme, i due coniugi scrivono e pubblicano un testo che è passato alla storia come la “bibbia della farmacologia”, un manuale che spiega i meccanismi d’azione dei farmaci allora conosciuti e raccoglie le ricerche condotte nei loro intensi anni di studio.
Qualche anno più tardi però, nel 1957, è solo Daniel Bovet a ricevere il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia, nonostante tutti i lavori del chimico recassero anche la firma di Filomena Nitti, sua instancabile collega e inseparabile moglie. I tempi erano evidentemente ancora immaturi per pensare di premiare una donna in un settore che, come tanti altri, era all’epoca esclusivo appannaggio degli uomini.
Così, senza mai vedere riconosciuto il suo impegno e le sue intuizioni, la biochimica napoletana si è spenta il 7 ottobre del 1994.
Quella di Filomena è la storia di una donna che ha saputo coniugare lavoro e impegno sociale lungo tutta la vita; è la storia di un esilio cui però è seguito il ritorno in patria; è la storia di due amori intrecciati, quello per la scienza e quello per suo marito; ma è anche la storia di un’ingiustizia, che la vede esclusa dal premio Nobel nonostante avesse lavorato insieme al collega (e marito) vincitore. Quella di Filomena Nitti è, soprattutto, una storia dimenticata, come quella delle numerose scienziate, filosofe, storiche, poetesse e studiose i cui nomi sono stati trascurati da una narrazione per troppo tempo incentrata solo sui protagonisti maschili.
In effetti i numeri non incoraggianti se si pensa che, secondo i più recenti studi, le donne rappresentano solo il 4 % dei Nobel assegnati dal 1901 ad oggi. Eppure, una notizia di appena qualche giorno fa riaccende la speranza: il Nobel per la Medicina di quest’anno è stato assegnato alla biochimica Katalin Karikó e al suo collega Drew Weissman per gli studi che hanno reso possibili i vaccini anti Covid-19. Questo premio condiviso, a 66 anni di distanza dal Nobel mancato della Nitti, sembra volerle rendere giustizia e ci permette di credere nell’avvento di un tempo (finalmente) nuovo.