In un Paese che si è d’un tratto scoperto giovanilista, talvolta, alcuni anziani maestri sono ciò che di più giovane c’è in vista, al punto di poter insegnare ai loro giovani colleghi la freschezza d’animo ed il rigore sereno della conoscenza. Francesco D’Episcopo, classe 1949, nativo di un paese in provincia di Campobasso ma profondamente napoletano, si è formato all’Università di Napoli Federico II, laureandosi in Letteratura italiana. Specializzato in Storia dell’Arte con una tesi su Petrarca e le arti figurative, poco più che ventenne, ancora in pantaloncini – come ama ricordare – ha insegnato greco e latino nei licei. Contemporaneamente promosso sottotenente durante la leva, l’amore per le lettere l’ha totalmente donato all’insegnamento, scartando l’opportunità di una carriera militare.
Approdato alla Federico II come docente, ha insegnato Letteratura Italiana e Critica letteraria e letterature comparate, spendendo la maggior parte dei suoi studi nell’Umanesimo e nella letteratura meridionale. Vincitore di premi alla carriera e per le singole opere, cacciatore di scrittori, storico e critico letterario, Francesco D’Episcopo ha praticato l’insegnamento senza mai dissociarlo dalla costante ricerca, divenendo uno dei più alti riferimenti della cultura meridionale. Il suo interesse eclettico l’ha portato a occuparsi, tra gli altri, di Masuccio Salernitano, Enzo Striano, Alfonso Gatto, Ugo Foscolo, Francesco Bruno, Francesco Jovine, all’approfondimento dell’innovativo tema del poeta-teologo nel Rinascimento italiano e alla curatela di numerosi volumi. Per chi come me lo ha conosciuto tra i banchi universitari, il carisma personale e la carica didattica ne sono i tratti distintivi.
La peculiarità del suo insegnamento è nel rifiuto completo di didascalismo, retorica, indifferenza e trombonismo, mali tipici della docenza italiana. Trasmettere virtù e amore, infondere sicurezza e passione, in un’epoca in cui le aule universitarie (spesso veri bunker) sono stipate dalla folla di studenti col solo distinguo della matricola, è una scommessa che proverebbe la resistenza di qualsiasi docente. Ma, come si dice, chi nasce tondo non può morire quadro. Un concetto idilliaco? Piuttosto il continuamento di una tradizione secolare di docenza europea, dai tempi della sua fondazione, quando alla corte carolingia il celebre Alcuino da York specchiava i frutti della sua professione nell’affetto per i suoi discepoli e nella loro riuscita. Più recentemente, un altro illustre docente, Giuseppe Moscati, scrisse che «tanti maestri turgidi, impregnati di scienza alemanna, taciturni, che non stimolano all’entusiasmo, che non trascinano all’amore per lo studio e la ricerca, che non sanno educare, svaniranno dalla memoria».
Così Francesco D’Episcopo: concentrato e accurato su ogni studente e attento regista dei suoi tesisti, seguiti uno per uno, “core a core”. Le sue lezioni, per lo più rivolte a chi era appena uscito dal liceo, una porta aperta sui secoli, il motore di idee che penetrano nella sensibilità, divenendo proprie come se le si fosse possedute da sempre, soggiogando totalmente nella sostanza fisica delle parole. La letteratura, secondo Francesco D’Episcopo, è una panacea, un complemento irrinunciabile all’insufficienza della vita. La letteratura napoletana poi – suole dire – non potrà mai essere totalmente verista, ma si impregnerà sempre di mistero e di sogno, quindi inesauribile, proprio come il mistero. Da studenti ci si preparava ai suoi esami con l’orgoglio e la speranza di poter restituire qualcosa di quanto donato ai corsi. Si credeva con entusiasmo ai valori civici e alla coscienza intellettuale che sprigionavano quelle lezioni, dove alla frontalità dei nozionismi si sostituiva un colloquio di anime. E la virtù del cuore di Francesco D’Episcopo non poteva che andare in coppia con il rigore intellettuale di chi esige il meglio.
Non scorderò mai la volta in cui sostenni un suo esame. Dopo un trenta con l’assistente, fui bruciato da una bocciatura inattesa. Avevo sottovalutato l’importanza della memoria. Tornai due settimane dopo e fui promosso a pieni voti. Senza lode però, perche non scordassi mai di provare sempre a fare solo del mio meglio. Impegnato in una costellazione di eventi e collaborazioni, l’altro pilastro dello spirito culturale di Francesco D’Episcopo è quello della conoscenza e dell’attaccamento al territorio meridionale, ispezionato quasi al centimetro, come un antico periegeta, o – per citarlo ancora – come un Garibaldi che ha dormito in ogni taverna del Sud. D’altronde non può esserci cultura né vera vita, se la propria ricerca è tutta una congettura montata nel perimetro di un tavolo. L’assidua consulenza editoriale e il giornalismo completano il suo bagaglio.
Se il pensionamento apre la porta ai luoghi comuni – a tratti macabri – del “vuoto incolmabile”, degli incensamenti e delle sventolate di fazzoletto, conoscendo Francesco D’Episcopo non mi preoccuperei affatto di salutarlo. Piuttosto, mi chiederei cosa d’altro e di nuovo possiamo aspettarci da lui…