Appena diplomato al liceo non voleva svolgere un’attività dove si scriveva e si leggeva, voleva diventare commissario di bordo e iscriversi all’Istituto Navale. È il padre, professore di liceo, che gli consigliò di frequentare la facoltà di giurisprudenza. Pensò di diventare notaio, ma dato che era il primo di quattro figli, non riuscì a completare gli studi ma vinse brillantemente il concorso in magistratura. È Giovandomenico Lepore, ex Procuratore della Repubblica di Napoli, uomo e magistrato eccezionale, disponibile, colto, deciso e di indubbia integrità morale.
L’andare d’accordo con i colleghi e tutti i collaboratori, accertandosi che fossero state persone al di sopra di ogni sospetto, la sua carta vincente. Una carriera vissuta senza mai scendere a compromessi; per Mimì Lepore o è bianco o è nero. Lo splendido rapporto con la moglie, cresciuti insieme nello stesso palazzo e mai più lasciati e la luce dei suoi occhi, suo figlio, la sua forza. Tante le questioni vagliate con occhio vigile e attento; come quando scomparvero molti soldi dall’Intendenza della Guardia di Finanza di Napoli in una maniera così particolare da farlo svegliare nel bel mezzo della notte e pensare che stessero sul tetto; identificò chi li aveva rubati ma il bottino non fu mai più ritrovato. Da giudice minorile, invece, spesso si rendeva conto che dietro ad un minore a rischio c’era una famiglia molto problematica. Quali sono i clan camorristici che più hanno segnato negativamente la città di Napoli e non solo? “Sicuramente il clan Contini, nostro cliente; poi, Fabbrocino, lo chiamavano l’architetto. I vecchi boss avevano un grande rispetto sia dell’avvocato che del magistrato. Mi ricordo, durante un processo, che Cutolo voleva regalarmi delle cassette, io pensavo di mele o arance, invece, voleva regalarmi una cassetta con le poesie che contrastavano il fenomeno della droga. Era gente che si faceva rispettare, con un certo codice d’onore, oggi abbiamo molti cani sciolti. Ricordo il clan dei Casalesi, già tre arrestati all’attivo, rimaneva il quarto, Zagaria.
Proprio quel giorno mi recai con mia moglie a Milano per la prima alla Scala, un regalo concessomi poco prima di andare in pensione, mi telefonarono dicendomi che anche per il boss Michele Zagaria erano scattate le manette; mia moglie rimase a Milano, io feci marcia indietro per la conferenza stampa. Dopo il terrorismo anche i camorristi hanno agito spesso contro di noi”. Ha mai avuto paura? “ Paura no ma ho sempre cercato di stare attento; anche il peggiore delinquente cerca di rispettare il gioco dei ruoli; purtroppo il popolo napoletano è un po’ restio ad osservare le regole, è nel nostro DNA. Se il napoletano è solo in mezzo ad altri è il migliore, già in due inizia a fare ‘ammuina’, in tre potrebbero fare una piccola rivoluzione. Il napoletano, spesso, non rispetta se stesso. Poco osservate il rispetto delle regole e del vivere civile; si dovrebbe partire dalle piccole cose come la semplice osservazione della raccolta differenziata”. È tifoso del Napoli? “Sono simpatizzante, perché dopo aver fatto le inchieste sul calcio mercato mi sono accorto degli imbrogli che ci sono sotto e mi è passato lo sfizio di essere tifoso”.