L’estate napoletana è allietata un nuovo “ospite illustre”, invitato dalle Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo: Caravaggio. In una città che vanta già un alto numero di sue opere (ben tre), l’arrivo de i Musici dal MET di New York, se non avesse avuto per controparte il prestito del Martirio di Sant’Orsola, di proprietà della Banca, avrebbe regalato a Napoli il record temporaneo di più Caravaggio al mondo, dopo Roma. In esposizione fino al prossimo 16 luglio, I Musici fu dipinto nel 1595, quando Caravaggio cominciava ad affermarsi nell’ambito romano, scoperto da uno dei suoi principali mecenati, il cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte.

Questi introdusse il pittore nella sua cerchia intellettuale, di cui l’opera è testimonianza, rappresentando un gruppo di efebici musicisti nell’atto di accordare i propri strumenti prima di un concerto, ma trasfigurati in giovinetti abbigliati all’antica, con un Cupido alato che intreccia un ramo di vite, con una pigna rossa ed una bianca. Nulla di strano la compenetrazione tra elemento reale ed elemento mitico, nel gusto intellettualistico del tempo che amava contornare la dichiarazione del soggetto con allusioni decifrabili soltanto dai conoscitori più vicini al committente. Ma l’opera dovette essere così significativa per l’autore che, secondo alcune interpretazioni critiche, volle inserirvi un proprio autoritratto, nel terzo personaggio da sinistra. È il giovane con la bocca aperta, che guarda lo spettatore e rende il dipinto ‘transitivo’, creando un rapporto tra lo spazio della tela e quello reale, come se fosse lo spettatore qualcuno che sorprenda il gruppo di giovani nella preparazione alla musica. Avere i Musici di Caravaggio a Napoli è decisamente un bene.

Non che sia una mostra, naturalmente, quella che ospita una sola opera. Ma nemmeno un Caravaggio spedito un po’ in vacanza nel bel paese: è uno scambio ragionevole, in una città che ha già i suoi Caravaggio, e che è stata cruciale cornice (e lo è ancora, fin nei vicoli e nei volti delle persone) del passaggio e dell’invenzione del pittore lombardo. Dove, quindi, i Musici possono trovare la loro rete di relazioni con altre opere, e testimoniare ancor più quella giovinezza del Caravaggio romano che anticipa quello napoletano, con una tavolozza chiara e viva, lontana sia dall’ingagliardimento degli scuri (come osservò il suo principale critico Giovanpietro Bellori, nel 1672), ravvisabile ad esempio nelle Sette opere di misericordia (1607 ca.) nella chiesa del Pio Monte, in Via dei Tribunali, sia da quel buio completo in cui le scene si sospendono quasi spettralmente, come nel Martirio di Sant’Orsola, considerata l’ultima opera del pittore (1610). Le relazioni dunque ci sono, e vanno oltre l’ambito del di Palazzo Zevallos.

Ma le prime sono rilevabili negli ambienti espositivi stessi, dove sono rappresentati ottimi esempi di caravaggismo italiano ed europeo: dai diversi dipinti di Bernardo Cavallino alla Giuditta ed Oloferne del fiammingo Louis Finson, esplicita parodia dell’originale del Merisi. Su un altro fronte poi, assai pratico, quanti di noi, addetti ai lavori e non, possono permettersi la comodità di andare e tornare da New York per ammirare un dipinto di Caravaggio? Se vogliamo imparare a guardare davvero le opere d’arte, nell’epoca digitale (sacrosanta, certo) occorre misurarsi con gli originali, ed ogni occasione è buona per farlo. Non che sia normale però, per le opere, lasciare la loro sede: sono piuttosto i visitatori che dovrebbero recarvisi. Nondimeno un conto è sradicare un’opera dal suo contesto originario (come il già citato Sette opere di misericordia) che può (e deve) essere ammirato dov’è stato concepito, un altro conto è un’opera musealizzata, che trova lì certo la sua casa, ma sui cui spostamenti, salve fatte le condizioni di non stress tecnico, si può essere più elastici.

In altre parole, sarebbe assurdo portare dei pinguini in Amazzonia (rischiando di ucciderli), e pretendere di mostrare l’Antartide, ma è plausibile far dialogare sensatamente i Musici con una realtà napoletana ancora sensibilmente antica e profondamente incisa dal passaggio di Caravaggio, dove il dipinto può stare ancor più a casa sua che non al MET. Infine il catalogo, con saggi di Keith Christiansen, Domenico Antonio D’Alessandro e Maria Cristina Terzaghi.
Caravaggio. I Musici
Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano, Napoli
Dal 6 maggio al 16 luglio.
Info: http://www.gallerieditalia.com/it/napoli/