I nuovi napoletani

Piazza Garibaldi con il suo "formicaio".

Piazza Garibaldi baricentro del Mediterraneo miscellanea di razze, luoghi lontani dove tutto si amalgama.

Se devi darti un appuntamento dici: “Allora ci vediamo giù alla Ferrovia, chi fa prima aspetta”.

Lo sguardo della statua di Garibaldi, l’Eroe dei due Mondi, punta dritto sull’ingresso della Stazione. Un formicaio si muove. Gente che va, gente che viene. Una bolgia, una confusione. Non è più un pezzo di Napoli: è parte di altro. Una miscellanea di razze, di luoghi lontani e vicini, di lingue, di usanze, di esistenze. Tutto s’intreccia, tutto si amalgama, tutto si confonde. È la Napoli-Medina dall’arabo la “città illuminatissima” dove regna l’eterogeneità etnica e religiosa.

La Ferrovia cambia aspetto, senza perdere la sua vocazione a rappresentare il mondo interno, ad anticiparlo. Pluralità linguistica, gastronomica, etnografica. Napoli è città-mondo, metropoli meticcia e regina del Mediterraneo. È una vocazione, una missione che ci ha assegnato la storia. Siamo la Neapolis che ha spinto i suoi dominatori alla conquista per la sua posizione strategica, per la bellezza della sua natura e della dolcezza del clima. La nostra è terra che si apre all’invasione. È la Napoli “mamma” che accoglie chiunque senza chiedere e già si è suoi figli.

Basta percorrere qualche metro di strada, una barriera invisibile pare segnare il territorio: via Milano, via Bologna, via Torino, via Firenze pullulano di senegalesi, maghrebini, somali, srilankesi, discrete bancarelle pronte a scomparire alla vista delle divise, delineano un inedito suk che si estende dall’altro lato, verso i meandri del Vasto.

C’è il mercatino senegalese di via Bologna che si snoda tra file parallele di bancarelle: capi di abbigliamento, collane etniche, sculture di fattura africana, monili, occhiali. Questo non è lo spazio di mercato dei cinesi, né degli immigrati dall’Est europeo, (albanesi, polacchi e ucraini) che trova, invece, posto “di stramacchio” la domenica mattina alle spalle di piazza Garibaldi, lungo via Marinella. I phone center e gli internet point arredano le strade all’ombra della Stazione: sono spuntati come funghi e sono sempre affollati. È tecnologia che accorcia le distanze, la geografia diventa un’opinione. L’odore è forte, intenso, pregnante. Le spezie cancellano l’aroma di ragù.

In via Torino il kebab è l’alimento principe. C’è il “Qods”, un ristorante molto frequentato dove cucinano un sublime couscous, poco più avanti c’è “L’Aladin”, una specie di pub con sale interne dove ci trovi, africani, rumeni, tunisini, marocchini, cinesi e anche napoletani. Nessuna meraviglia: a tavola si diventa parenti.

Sono i commerci, però, l’anima vera del multiculturalismo di piazza Garibaldi: tra corso Lucci, porta Nolana, porta Capuana e il Vasto si contano oltre 150 esercizi commerciali in maggioranza cinesi ma anche arabi, senegalesi, pakistani e nigeriani.

Questa è la piazza dove soprattutto si arriva e si parte. Il McDonald’s e la biglietteria diventano la stella polare, un punto di riferimento dove incontrarsi e abbracciare il destino. Ci sono gli autobus che raggiungono più volte alla settimana le capitali del Maghreb, Varsavia, Kiev. Sono viaggi per portare comunicazioni, messaggi, rimesse ma anche merce e prodotti di tutti i tipi rigorosamente made in Naples. Piazza Garibaldi diventa baricentro del Mediterraneo.

Poi la domenica è giorno d’incontro. Gli immigrati che lavorano nei paesi dell’hinterland con i treni della Circumvesuviana raggiungono la Ferrovia. Stare assieme, fare comunità, conoscersi. Non si è soli a Napoli. Mentre percorri via Dogana I, uno stretto vicoletto che corre verso via Carriera Grande, la chinatown partenopea, ascolti una chiacchierata in dialetto stretto e neppure riesci a decifrarla. Ti volti e sorpreso vedi due ragazzini, poco più di otto anni a testa, originari della Costa d’avorio, che scherzando si prendono a parolacce in un perfetto napoletano da vicolo. Sono i nuovi scugnizzi, partenopei doc, figli di terza generazione. Quando lo scrittore Ermanno Rea, presidente del Premio Napoli nel 2006 pensò e compose il decalogo ‘i nuovi napoletani’ non si trattava di un generico punto di vista ma di una vera e propria carta d’intenti per dare dignità a quelle nuove cittadinanze. Dieci articoli scritti con amore e lungimiranza: 1) “Noi, cittadini napoletani sia di remota che di recente anagrafe, diciamo a quanti sono alla ricerca di una nuova patria: le porte della nostra casa comune sono aperte; tutti coloro che vogliono farsi a loro volta napoletani sono i benvenuti…” 10) “È nostra convinzione che il futuro di Napoli stia essenzialmente nella sua capacità di aprirsi sempre di più all’universo geo-politico circostante – Mediterraneo, Nord Africa, Medio Oriente – attraverso una fitta rete di collegamenti umani, oltre che economici e culturali…”. Napoli è la grande “mamma”, la xenofobia è parola ostica nello pronunciarla e praticarla. È una malattia debellata, i partenopei sono vaccinati prima della nascita. Nello scritto di Marino Niola, studioso e antropologo, la giusta conclusione: “È bello immaginare la Napoli del futuro come un ponte tra le sponde opposte che si affacciano sul mare nostrum. Solo così l’ex capitale potrà cancellare quell’ex che la archivia nel verbale polveroso di una storia dismessa, e ridiventare capitale del Mediterraneo, crocevia di traffici e umanità. Patria elettiva per tutti coloro che, al di là dell’anagrafe, la riconosceranno come casa comune e contribuiranno, con l’apporto della loro differenza, a declinare al futuro la sua antica vocazione di città mondo. Di città umanissimamente plurale”.

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