Paesaggi liquidi o in liquefazione, immaginati ed immaginifici: tutto confluisce verso l’epilogo delle ricerche artistiche di Kristina Milakovic che terrà la propria esposizione presso “AM Studio Art Gallery” di via Massimo Stanzione sino al cinque giugno.
Oltre la minutissima polvere che divora i margini di lande soltanto sognate, una prima immersione nell’immaginario paesaggistico dell’artista serba è stata possibile durante il pomeriggio dello scorso venerdì, all’inaugurazione del percorso espositivo condensato nel “numero 23”.
Kristina Milakovic, che annovera un percorso di studi intrapreso nel ’96 presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e proseguito a Roma alla cattedra di Nunzio Solendo, ha raccontato l’evoluzione artistica degli ultimi anni, quando, a partire dalle architetture di città favoleggiate, ha raggiunto la natura: “Ho deciso di cancellare quella città che per anni avevo costruito. Con la natura avvertivo il richiamo del colore. Non so se inconsciamente ci sia qualcosa che riguarda mia madre. Sono figlia d’arte. Mia madre era una paesaggista classica”.
Nell’esplorazione dell’intima trasposizione della natura, le cui strutture principali tendono all’evanescenza, precedenza assoluta è stata data all’utilizzo del colore – dagli azzurri ad i bruni bituminosi – ed alla distinzione netta al di qua ed al di là del sopra e del sotto. Compare una linea rossa, di demarcazione. “Da sempre ho avuto l’esigenza di dividere il quadro in due blocchi. Prima c’erano i blocchi di sinistra e di destra, uniti da una sottile linea. Adesso, tra il sopra ed il sotto. Anche nel quadro, con la divisione, ricerco in me l’equilibrio”.
I paesaggi immaginati e riprodotti con l’impiego di bitume, colori acrilici ed inchiostro su tela sono ventitré: perché non infiniti come le declinazioni dell’anima? “I paesaggi sono infiniti. Allo stesso modo, il ventitré è un numero che ho iniziato ad amare a partire dal ’91, quando iniziavo a frequentare il primo anno delle scuole superiori. In qualche modo sono rimasta molto legata a questo numero. Capitato in un’occasione, il ventitré ritornava perennemente. Diventato poi una sorta di portafortuna, ho deciso di utilizzarlo per questa mostra. So bene quale sia nella città di Napoli il significato che vi è associato, ma per me è un numero che porta molto bene. Non ho pensato a questo titolo già dall’inizio. Al termine, quando ho contato le opere, erano appunto ventitré”.
L’artista si sofferma con una digressione sulla città che ospita la personale d’arte: “Avevo davvero voglia di ritornare a Napoli per vederla e viverla. Mi è piaciuta l’idea di una personale qui”. Si conclude, discorrendo a proposito dell’immediato futuro. “Dopo il cinque giugno, si vedrà. Dipingerò, ovviamente. E da settembre riprendiamo con le fiere”.