Li chiamavano “i ragazzi di via Chiaia” ormai più di settant’anni fa.
In realtà, a via Chiaia abitava solo Antonio Ghirelli, ma tutti gli altri amici del gruppo vivevano nei paraggi. A Monte di Dio, al Chiatamone, a san Pasquale a Chiaia, alla Torretta, a piazza Sannazzaro, a palazzo Donn’Anna, ebbero modo di conoscersi al liceo Umberto I, che tutti frequentavano.
In quest’incipit, che riprende volutamente quello scritto da Ghirelli stesso per l’ultimo capitolo del libro “Un’altra Napoli”, è racchiusa una storia incredibile, che lega tra loro personaggi che hanno avuto un impatto a dir poco rilevante nella storia napoletana e non solo.
I ragazzi di via Chiaia di cui parliamo sono, oltre al già citato Ghirelli, Giorgio Napolitano, Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Compagna, Maurizio Barendson, Franco Rosi e Achille Millo. Nomi talmente altisonanti che quasi si stenta ad immaginare.
Nelle rispettive – e diverse – strade intraprese nella vita, hanno tutti marchiato a fuoco le tappe del loro cammino lasciando un segno indelebile nella cultura, nell’arte e nella società italiana. Politica, giornalismo, letteratura, cinema e teatro, i ragazzi di via Chiaia negli anni sono cresciuti, diventati adulti e, infine, giganti.
Il legame e la lotta al regime fascista
Il loro incontro e la loro unione, racconta Ghirelli, nasce nei corridoi del liceo Umberto I dove il senso del dovere, la passione per lo studio e per i valori della classicità, il culto del lavoro e del risparmio, erano alla base dei principi di insegnamento che venivano impartiti.
Fu sulla base di quei valori, da cui finirono per essere influenzati anche i meno preparati tra noi, che si cementò l’affiatamento del nostro gruppo, una coesione morale destinata a resistere al logorio di molti decenni e di molti amari disinganni.
La voglia di nuove esperienze, di libertà intellettuale, l’influenza dei film americani, francesi e sovietici, i libri – consigliati prontamente da La Capria a tutto il gruppo – di autori come Joyce, Eliot, Faulkner, Hemingway e Steinbeck irrompevano nel loro immaginario formandolo, modellandolo e allontanando tutti loro dal realismo d’antan e dall’ermetismo contemporaneo.
Legati nelle passioni e nella voglia di ricercare una nuova libertà, rafforzarono la loro unione quando si trattò di osteggiare il regime fascista che in quegli anni era al potere in Italia. Dopo che gli Alleati ebbero liberato la città, insorta nei giorni precedenti dando vita alle Quattro Giornate di Napoli, parecchi di loro si ritrovarono a lavorare insieme a Radio Napoli, emittente locale antifascista che propagandava apertamente contro il regime.
Era la prima volta che a Napoli si levava sulle onde della radio una voce libera che chiamava a raccolta i giovani, i lavoratori, le donne, i sindacalisti per mobilitarli contro il nazifascismo, come dicevamo allora un po’ enfaticamente, ma soprattutto per indurli a partecipare alla vita pubblica, sociale, culturale, alla ricostruzione della città dilaniata dalla guerra, al recupero delle sue straordinarie tradizioni.
C’è una grande speranza, nonostante tutto
Dopo gli anni della gioventù, i ragazzi di via Chiaia crebbero e a raccontare le loro vite oggi ci pensa la Storia. Tutti seguirono il loro destino, “sempre accumunati tuttavia da una illimitata fiducia nella vita, che si è tradotto in una notevole capacità creativa“.
Volendo citare ancora, per un’ultima volta, Ghirelli (ma penso che me lo perdonerete), mi permetto di concludere quest’articolo nello stesso modo in cui lui conclude il suo libro, ovvero con una frase dell’amico Francesco Compagna, chiamato da tutti Chinchino, che racchiude in poche righe l’essenza di un gruppo di amici e degli ideali che hanno dato linfa alle loro straordinarie vite.
C’è una grande speranza, nonostante tutto, nonostante tutto quello che vedete o che vi sembra di vedere, c’è una grande speranza in questo Paese e questa speranza sta nella fede in un’idea, nella coscienza, nella pulizia morale.