Da dicembre alla prossima primavera, alla chiesa di Santa Maria Maggiore, nell’attuale Polo museale della Pietrasanta, apre i battenti la rassegna espositiva “I tesori nascosti”, a cura del critico d’arte Vittorio Sgarbi. Con il patrocinio della Regione, della Provincia e della Curia, e con il sostegno principale di Banca Credem, Sgarbi è riuscito a portare un numero altissimo di opere in visione. La ratio della mostra è descritta dallo stesso curatore: “La caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha approdi, è imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova. Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative”.
Dunque, lo spettatore è invitato a farsi strada nella rassegna da solo, e cimentarsi in quella che un tempo si sarebbe chiamata “Wunderkammer”, una sorta di camera delle meraviglie, che sprigiona il suo fascino dalla libera commistione degli oggetti presenti. E in effetti il concetto è proprio questo. Ma allora, cos’è questa esposizione che vuole arbitrariamente sfuggire a una definizione? È anzitutto un’occasione rara di vedere opere altrimenti irreperibili.
Già, perché tutte e centocinquanta provengono da svariate collezioni private, tra cui quelle della stessa Fondazione Cavallini Sgarbi, della Banca Credem e della Koellinker, altrimenti praticamente irreperibili. Quindi, un’opportunità ghiotta per studiosi e non solo; anzi, nonostante il titolo della mostra parli di capolavori — e ce ne sono diversi — è ben lontana quella forma di “capolavorismo” che guarda solo al nome, permettendo così al pubblico di venire a contatto con una selezione di autori non solo celeberrimi, per imparare a riconoscere che non solo la fama fa l’artista.
L’esposizione parte da alcuni frammenti medievali per incentrarsi soprattutto su un carnet di dipinti del tardo Rinascimento italiano ed europeo. Ma non mancano i pezzi forti di scultura, come le due allegorie dell’ “Inverno” e dell’ “Estate” di Filippo Parodi, costola genovese del Bernini, oppure l’analogo soggetto invernale nell’ erma (busto montato su di un pilastro) del belga Juste Le Court; e, dulcis in fundo, due splendidi pannelli con gli evangelisti Luca e Giovanni del Michelangelo del sud, Giovanni da Nola.
Posta sull’altare (nel vero senso della parola) è la sezione di pittura napoletana, per lo più fatta di pezzi secenteschi, con artisti come Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, tra i seguaci caravaggeschi della prima ora, a Napoli. Tra questi campeggia la “Maddalena penitente”, qui attribuita a Caravaggio, e forse studio di un particolare dalla conclamata tela della “Morte della Vergine”, del Merisi.
Ma il Seicento si spande negli ambienti della mostra, con un significativo numero di soggetti sacri e nature morte. Anche il Settecento è ben rappresentato, con, tra gli altri, Francesco Solimena e Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto. Ma, per tornare a Napoli e alla scultura, anche Vincenzo Gemito e Francesco Jerace fanno sfoggio di sé, a metà tra una corposa sezione ottocentesca, tra cui spiccano opere di Domenico Morelli, e una preziosa sezione novecentesca.
È infatti particolarmente appetibile la carrellata di quadri e sculture della contemporaneità italiana, dove è possibile constatare (ed apprezzare) quella cernita di artisti che, pur recependo gli stimoli del loro tempo, rimasero per così dire più “tradizionalisti”, trovando nella raffigurazione oggettiva della realtà la loro sfida a tutti i diktat della modernità, avanguardista a tutti i costi.
Non è un caso infatti che, anche chi ha vaghe idee di arte contemporanea, sia abituato a confrontarsi con temi e soggetti molto “intellettualistici”; qui, invece, grazie ad artisti come Eugenio Viti, Emilio Notte e Gennaro Villani, arrivando fino al XXI secolo, col torinese Lorenzo Alessandri, è possibile accostarsi a coloro che — almeno nelle opere qui esposte — si sono ostinati nella bellezza della tradizione. Accanto però ad esploratori e padroni storici del Novecento, come Giorgio de Chirico.
Per info:
www.itesorinascosti.it
infoline e biglietteria: 08119230565