Il Lago d’Averno è un lago vulcanico ubicato nel territorio del comune di Pozzuoli, in provincia di Napoli. Il solo nominarlo conduce la mente in direzioni di immagini cupe, composte di fumi che, partendo dall’acqua ribollente, si avventurano per l’aria, leggeri come nebbia, e impediscono una visuale precisa del lago stesso, delle rive, della vegetazione.
Il grigio delle spirali di fumo, il rosso delle fiamme, il nero della notte. L’Averno è l’Oltretomba della religione classica greco-romana. Ovviamente ora il lago ha caratteristiche comuni a tanti altre zone lacustri. Ma, giacendo all’interno di un cratere vulcanico spento, deve essere stato, un tempo, un luogo diverso da tutti gli altri, fino ad eccitare la più fervida e inquietante immaginazione. In realtà il Lago d’Averno possiede questo nome per un motivo diverso. La parola deriva dal greco àornos, che vuol dire “luogo privo di uccelli”, caratteristica che aveva dovuto, ad ogni modo, impressionare non poco le popolazioni che stanziavano nella zona. La Campania è ricchissima di volatili di specie diversissime. Sono davvero tanti gli uccelli che svernano nella nostra regione. Eppure nei dintorni di questo lago la vita, come si narra, era impossibile. E questo “deserto di vita” era causato, secondo quanto si narrava, dalle esalazioni di gas irrespirabili che provenivano da queste acque nervose, mai quiete o trasparenti. Dopotutto questo, per gli antichi, era il luogo dell’eterna processione delle anime dei defunti, mai davvero pacificate, ma sempre sature di rimpianti, rimorsi, nostalgie.
Inferi e Inferno
Gli Inferi della “classicità”, è bene sottolinearlo, non corrispondono all’Inferno della tradizione cristiana, il quale nelle nostre menti assume (per una sorta di “osmosi culturale”) i colori e le caratteristiche dell’Inferno della prima cantica dantesca della Commedia. Gli Inferi sono semplicemente il “mondo di giù”, l’Ade, in cui si trovano tutte le anime dei morti, non quelle anime che scontano, diciamo così, una “punizione”. Ci sono delle differenziazioni nell’ambito dell’Ade – il Tartaro, i Campi Elisi – , ma in generale l’Oltretomba è il luogo di ogni anima, alla fine dell’esistenza nella carne mortale. Però non possiamo non “avvertire” una similitudine con le grandiose scene dell’Inferno dantesco, nella misura in cui penombra – dunque disorientamento e inquietudine -, fumo, nebbie insistenti, furono “individuate” dai greci come “regno della Morte”. Il Lago d’Averno, un tempo, doveva ricordare tutto questo. Fino ad entrare nella tradizione come porta dell’Ade.
Emozioni davanti al Lago d’Averno
Dopotutto Virgilio aveva fatto passare Enea proprio dall’Averno, quando ne aveva raccontato la discesa negli Inferi. Nel corso del XIX secolo il lago è stato anche oggetto di studio per il fenomeno della Fata Morgana, la famosa esperienza visiva di distorsione e tremolìo che caratterizza gli oggetti immediatamente sopra la linea dell’orizzonte, spesso riscontrabile nei deserti. Questo movimento nervoso, in lontananza, doveva forse apparire come una folla di anime che si aggiravano per l’Ade, in cerca di pace.
Verso l’Averno: Partenope
Il mito di Partenope è certamente legato, in qualche modo, a tutto questo. La sirena giunge, come sappiamo, a spiaggiarsi sulle nostre rive dopo aver provato il dolore più grande. Di fronte ad Ulisse ha cantato come solo lei sapeva fare, insieme alle compagne, e non solo ha “dato il massimo” con la voce, ma probabilmente avrà “raschiato il fondo” della propria creatività seduttiva anche con le parole, che saranno state sature di poesia tanto da far male. E avrà interpretato ciò che cantava, avrà mostrato il suo volto eburneo, di una femminilità da impazzire, avrà danzato facendo muovere i propri seni, sotto il piumaggio da sirena, muovendosi aggraziata nel cielo. Altrimenti Ulisse non avrebbe urlato fino ad arrossare le corde vocali, pur di essere liberato dai compagni. Come sappiamo, invano. Partenope ha dato tutto della sua femminilità, ma non è servito. La sua disperazione è grande, profonda, senza uscita.
Napoli e il Lago d’Averno
Dunque, Partenope vuole solo morire, e lasciarsi andare su di una morbida spiaggia, solo un attimo, prima di cessare di respirare, smettere di esistere. Perché arriva qui? Forse ha voluto infliggersi l’ultima “punizione”. Ha visto qualcosa come una terra di fuoco, un luogo di fiamme e fumi, quello che noi chiameremmo un inferno. Di qua un vulcano, piangente lenta lava rossa, bruciante, luccicante nella notte fonda e silenziosa. Di là altri fuochi, un odore di zolfo, laghi ribollenti, altri crateri: i Campi Flegrei. Lì è la fine del mondo. Un universo che brucia. Il posto dove distendersi e morire accarezzata dall’ultimo calore. Non quello delle braccia di un uomo, ma quello di una terra che dentro ha forse talmente tanta rabbia da bruciare. Proprio come lei. Oppure, semplicemente, Partenope ha scorto in lontananza gli Inferi, l’Oltretomba, l’Ade.
L’inferno della Sirena
Che fortuna, posso gettarmi direttamente nel mondo dei morti, anzi, è l’unico posto in cui, ora, voglio abitare. Sarà stato questo il flash nella mente di Partenope, la fanciulla affamata d’amore. Costretta dal destino a ingannare invece che ad amare. A spezzare le ossa e a stracciare i muscoli degli uomini, invece di stringerli tra le braccia. A mangiarne le carni, invece di farsi mangiare di baci. Lei, la ragazza bellissima, dalle forme sublimi, dal canto paradisiaco e dall’intelligenza luminosa, vispa, acuta. La ragazza dei sogni. Ora è tutto finito. Il più intelligente tra gli uomini mi ha voluto udire, non ha voluto aver paura. E si è innamorato perso. “Ma l’amore non fa parte neanche lontanamente del mio destino”. A questo punto, alla prima spiaggia, la sirena vuole farsi inghiottire dalla terra. E laggiù, dove la terra brucia, è più facile morire. Meno male che c’è l’Averno.
Un porto per la flotta
L’Averno, ad ogni modo, ha anche una vicenda legata alla Grande storia delle vicende umane. La zona diviene molto importante quando, nel 37 a.C., l’imperatore Ottaviano chiama a Roma, come console, Marco Vipsanio Agrippa, che ha bisogno sùbito di un porto per la sua flotta. Edificherà un’enorme base navale proprio in Campania, con un canale che dal mare arriva al Lago Lucrino e poi, da quest’ultimo, al Lago d’Averno. Ecco dunque un “uso” molto più “pratico” e decisamente non “soprannaturale” del nostro Lago. Infine una curiosità: nonostante il nome Averno – che come dicevamo vuol dire “privo di uccelli” – il lago ospita varie comunità stanziali di volatili. È facile infatti trovarvi delle folaghe o dei germani reali.