Il Martirio di Sant’Orsola dipinto da Caravaggio è una delle massime perle d’arte custodite nella città di Napoli.
Il Martirio di Sant’Orsola rappresenta una sorta di compimento artistico di Michelangelo Merisi. Questo olio su tela del 1610 è l’ultima fatica del maestro della luce e dell’ombra.
La lettera di Massa
Pensavo di mandarle il quadro di Sant’Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti.
Autore di queste parole è Lanfranco Massa, procuratore genovese a Napoli per conto della famiglia Doria. Scrisse questa a lettera il 1 maggio 1610. Il destinatario è Marcantonio Doria, banchiere collezionista che commissionò l’opera. Questa lettera è di importanza capitale. Rinvenuta nel 1980 nell’Archivio dei Doria, non solo chiarisce l’iter della commissione, ma permette la fondamentale attribuzione dell’opera al Caravaggio. Prima di allora si attribuiva l’opera a Mattia Preti, artista caravaggesco soprannominato il Cavalier Calabrese.
Dalla lettera si evince la fretta con cui Caravaggio dovette lavorare. Le pressione del committente portarono il Merisi a dover consegnare la tela quando ancora la vernice passata sul dipinto non si era del tutto asciugata. Dal canto suo, anche il pittore andava di fretta. Stava infatti per partire per Porto Ercole. Proprio questo viaggio del 1610 sarà l’occasione in cui troverà la morte.
L’opera tra Genova e Napoli
Caravaggio completò la sua ultima opera nel maggio del 1610. Immediatamente Lanfranco Massa spedì il Martirio a Genova, città dei Doria. Custodita dai discendenti di Marcantonio, l’opera non ebbe grandi spostamenti fin quando Maria Doria Cattaneo la riportò a Napoli nel 1832. La nuova casa del Martirio fu il Palazzo Doria d’Angri, eretto nel 1778. Dallo stesso palazzo il 7 settembre 1860 Garibaldi annuncerà l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia.
Nel 1940 la notevole collezione presente al Palazzo finì all’asta. Fu allora che la tela del Merisi passò alla banca commerciale italiana che la espose nella storica sede napoletana di Palazzo Zevallos. Dal 2021, l’opera è esposta sempre in via Toledo, ma presso Palazzo Piacentini, nuova sede napoletana di Gallerie d’Italia.
Perché il Martirio è un capolavoro?
Nel Martirio sono presenti i frutti maturi di quella ricerca artistica che ha sconvolto per sempre l’arte pittorica. La scena presenta il culmine del pathos della vicenda. Attila ha appena scoccato la freccia e la santa sofferente china il capo e guarda il dardo che l’ha trafitta. Dietro di lei tre barbari (uno ha il volto di Caravaggio) soccorrono la donna, forse sorpresi dalla crudeltà del loro capo. Il sentimento di dolore è reale, spogliato da ogni filtro simbolico. Non c’è riferimento alla santità o al martirio. Orsola è una donna terrena che sta perdendo la vita. Al suo dolore paiono partecipare anche i suoi carnefici.
Il gioco di luci fonde complessità tecnica e simbolica. La santa, già pallida, appare cadaverica in quanto investita un fascio di luce fredda. La luce è il solo riferimento alla sua vicinanza al divino. I suoi esecutori emergono dal buio. Solo le loro espressioni sono accentuate da pennellate lucenti. Il buio in cui sono immersi appare come la tenebra del peccato e della perdizione.
L’autoritratto di Caravaggio
In questa alternanza simbolica di luci e ombre diventa significativo l’autoritratto caravaggesco. Egli è uno dei barbari. Il suo corpo non è visibile tanto è fitta l’oscurità che lo avvolge. Le tenebre che hanno attraversato la sua vita sembrano aver avuto la meglio. Eppure il suo volto partecipa della luce. La sua smorfia è visibile e potente. Emerge allora una possibile lettura suggestiva dell’opera-testamento. Caravaggio, trafitto insieme alla santa, abbandona l’arte e il mondo rappresentandosi come un “essere di luce”.