Il mistero di Agostino il Pazzo

Il centauro e la Città ribelle

Vorrei coniare l’espressione di “pop mistero” in riferimento agli eventi accaduti in Città durante un’afosa estate di oltre quarant’anni fa. Le gesta di Agostino il Pazzo appartengono ormai alla mitologia cittadina tanto quanto la leggenda del Munaciello o il mistero della liquefazione del sangue di San Gennaro. Poi, chioserei: la storia del centauro è entrata di diritto nella cultura popolare, rappresentando un saggio di antropologia – al di là di virtuosi panegirici –. La società napoletana per qualche giorno si lasciò inebriare da questo personaggio, declinando le scorribande dall’assurda giustificazione in un messaggio universalmente provocatorio e surrealistico. Si chiamava Antonio Mellino, il poco più che diciottenne che in sella alla propria Gilera 125, tra le notti del 23 e 26 agosto 1970, consegnò le proprie chiome all’immortalità. Dunque Antonio Mellino, e non “Agostino il Pazzo”.

Esisteva una spiegazione ulteriore: “Agostino” come Giacomo Agostini, l’allora campione del motomondiale. L’epiteto “Pazzo” è insito nell’impresa consumatasi nelle “Quattro nottate di Napoli”. Tutto si svolgeva, ogni notte, ogni tarda notte, all’interno dell’area circoscritta tra piazza Carità, via Toledo, piazza Municipio e piazza Trieste e Trento. Tra le zanzare del 18 e del 22, il popolo fu sedotto da quello spirito errante. Tacevano i giornali e le altre principali fonti d’informazione. Una notizia silente s’insinuava nel ventre della Città, assecondandone l’animo ribelle e tumultuoso. La polizia intanto indagava. Allora cresceva l’attesa per un’ultima e stupenda scorreria. Iniziarono a calare le tiepide tenebre del 23. C’erano gli scugnizzi, arrampicatisi su chissà quale balaustra, per scorgere l’incedere di Agostino. C’erano i più attempati speranzosi di acciuffare soltanto con gli occhi quel ribollente spirito giovanile. Le cronache parleranno poi di almeno tremila o quattromila persone tra le strade. Tutti attendevano invano. Agostino era già diventato leggenda. Sì, una leggenda scomoda. Oltre settecento poliziotti attendevano un’ultima sua eterna impennata. Nell’attesa della sua venuta, scoppiarono i disordini. Un vento ribelle soffiava sui fazzoletti che salutavano coloro che erano stati sottoposti al fermo dalla polizia. Il bilancio risultò inverosimile: cinquantasei feriti, cinquantanove arrestati e duecentotrentadue fermati. Intanto, di Agostino nemmeno l’ombra. Le procedure di identificazione proseguirono, finché il 25 agosto gli agenti non bussarono al portone dello stabile nel quale abitava, in piazza dei Girolamini.

Aprì il padre Vincenzo. Disse che per casa Antonio non era passato. Poi, ebbe un malore. Tutto culminò in quei concitati momenti, tra la gente in strada speranzosa e la polizia, ugualmente speranzosa. Il 18 settembre Antonio Mellino, passato alle cronache come “Agostino il Pazzo”, fu sorpreso in una macchina in compagnia di amici in piazza del Gesù. Terminava la propria parabola Agostino, nelle cui impennate si vide la materializzazione del secolare sentimento revanscista di un’intera Città. L’epilogo non fu drammatico: niente prigione per l’esuberante giovane con la passione per i motori ed il mito della velocità.

Com’è andata a finire

Ancora oggi Antonio Mellino abita e lavora in piazza dei Girolamini, dove ha ereditato il mestiere del padre Vincenzo. Lì infatti ha una bottega dove svolge l’attività di antiquario, dividendosi tra insegne sacre e cimeli provenienti da un lontano passato.

 

 

 

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