Il munaciello: misterioso monaco o “criaturo”?

Il munaciello
Il munaciello
foto da Wikipedia

Il munaciello (‘o munaciello) è uno spirito dispettoso della tradizione folcloristica napoletana. Ma possiamo parlare davvero di “spirito”? Le apparizioni di questo personaggio sono fin troppo impregnate di carne e sensualità.

Anziano o bambino? Beh…il munaciello si presenta come un frate di bassa statura, quasi che il saio fosse indossato da un ragazzino, ma in realtà il suo volto è precluso anche alla gente a cui egli fa “visita”. Potrebbe essere anche un anziano e deforme monaco, con in più un accenno di “scartiello”, ossia di gobba; quest’ultima compare spesso nell’iconografia di tale personaggio.

Le origini della figura del munaciello

Sono varie, e molto diverse tra loro, le leggende che spiegano la presenza e le imprevedibili attività, in città, di questo essere misterioso. Una di esse è una storia abbastanza drammatica, che colma di pathos la figura del munaciello. XV secolo: Caterina Frezza e Stefano Mariconda sono due giovani innamorati. Come tanti. Solo che il loro amore ha subìto una specie di condanna a morte.

L’unione sponsale di Caterina e Stefano “non s’ha da fare”. Perché Caterina è la figlia di un ricco commerciante, mentre Stefano è ‘nu guaglione dei ceti più umili, che ogni mattina si guadagna la giornata col sudore della fronte. Braccia forti, voglia di lavorare, voglia di costruirsi un futuro diverso con Caterina, il suo amore. Voglia di avere tanti bambini, che un giorno riempiranno di voci, di pianti, di vita, la loro dimora. Magari una casarella accanto al borgo dei pescatori.

La nascita d’ ‘o criaturo

La famiglia Frezza non considerò neanche per un attimo l’ipotesi di dare ascolto e importanza ai palpiti del cuore di Caterina. La ragazza era, come tante altre, prigioniera del suo “stato sociale”. Il problema fu risolto nel modo più veloce, senza dar tempo alle cose di complicarsi. Stefano fu gettato giù da un tetto, lungo il percorso “segreto” che faceva per raggiungere il luogo dei baci e delle tenerezze, la casa della sua ragazza.

Ma nel corpo di Caterina, che tante volte aveva amato quello di Stefano, pur con il batticuore e con la paura di essere scoperti, era già germogliato un fiore: la ragazza era incinta. Per poter far vedere la luce all’unico essere che avrebbe potuto ricordargli il calore e le fattezze dell’amato, Caterina si chiuse in convento, dove partorì un bambino tozzo e deforme. Il destino era decisamente nemico acerrimo di questa ragazza napoletana. In più, l’esser nato tra le mura di un monastero aveva segnato anche la sorte del piccolo, che sarebbe stato per sempre ‘o munaciello.

Il Munaciello: il nostro “Gobbo di Notre-Dame”?

Caterina non sapeva che pesci prendere, con quel bambino a cui mancava la salute e che, probabilmente, era già stato condannato dal destino. Cominciò a vestirlo con i panni di un fratino, come se volesse pregare, o forse “ricattare”, Dio stesso. “Io te lo consacro, ma tu me lo devi raddrizzare, me lo devi guarire!”. Il munaciello (da allora chiamato così da tutti) si aggirava, piccolo e inquietante, tra le strade del quartiere Porto. La testa grossa, il corpo piccolo: qualcosa come il gobbo di Notre-Dame.

Il ragazzino era insultato dai passanti, ma in realtà era lui che faceva paura alla gente. Cominciò ad essere guardato come un porta-sfortuna, colpevole di tutte le disgrazie che colpivano la povera gente. Anche se, come accade sempre a Napoli, ciò che proviene da un mondo cupo e misterioso diventa – quasi per un’“autodifesa creativa”- ciò che può anche “donare” ‘a bona ciorta.

I poteri d’ ‘o criaturo

È come se fosse così: ciò che ci inquieta ci aiuta. Così, più meno, ha sempre ragionato il popolo napoletano. La figura sgradevole dello scartellato (il gobbo), o l’immagine dei femminielli considerati esseri misteriosamente a cavallo di due mondi, il maschile e il femminile: ognuna di queste “icone” popolari è considerata, dai napoletani, come detentrice di poteri soprannaturali e, innanzitutto, è “capace” di fornire i numeri da giocare al lotto.

Lo stesso fu per il deforme ragazzino vestito con l’abito domenicano. Il napoletano prima “sfotte” la “diversità”, poi comprende che dietro, nel profondo, c’è qualcosa di grande e di misterioso. E allora ne diventa amico. Amico spesso interessato (soprattutto per i numeri), ma pur sempre amico. All’improvviso, comunque, il munaciello scomparve, probabilmente assassinato dalla stessa famiglia Frezza, che si macchiò così di un secondo omicidio, per levare dal mondo anche il “seme” del Mariconda.

La vendetta d’ ‘o criaturo

Ma il munaciello tormentava le anime degli abitanti del quartiere Porto. E forse non era mai morto. A via dei Taffettanari, dei Cortellari, dei Lanzieri, cominciarono a succedere cose strane. O meglio, i napoletani avevano una “spiegazione in più” per l’accadere di eventi inconsueti e bizzarri: sparizioni di cose preziose, spostamenti assurdi del mobilio delle case, giornate di lavoro totalmente infruttuose, a pesca o ai mercati, cadute dalle scale, ecc. Era la vendetta d’ o criaturo, la rabbia, ormai eterna, d’ ‘o munaciello.

Da allora, quando un  napoletano, ad esempio, non trova più qualcosa in casa, può capitare che, senza neanche pensarci più di tanto, esclami: “ma che ce stà, ‘o munaciello?”. Il munaciello sfrutta il suo potere con ironia e sadismo, diciamo così. “Gioca” con le paure e le speranze dei napoletani. E questi ultimi lo lasciano fare. È come se i napoletani dicessero: vuoi giocare? E giochiamo.

Le “regole del gioco”

Si può ad esempio lasciare sul tavolo della cucina, al buio, prima di andare a dormire, del cibo. Magari se ‘o munaciello dovesse passare, si sentirà accolto, non disprezzato, e “considerato” come non lo fu mai in vita. Chissà che non tramuti il cibo in oro oppure non ci lasci… qualche numero. È sempre quella l’ossessione. Il lotto, “l’acquavite di Napoli”, come lo definì Matilde Serao.

Un’altra tradizione

Un’altra spiegazione dell’accesso del munaciello nelle case è quella classica dei “pozzari”. Questi ultimi, vestiti con manto e cappuccio, per poter aggirarsi nelle tubature della città, riuscivano ad avere accesso nelle case della gente, e magari, visto che tralaltro erano malpagati, si rifacevano dell’ingiustizia sottraendo degli oggetti preziosi dagli appartamenti. Ma anche… consolando la “solitudine” delle massaie lasciate sole in casa dai mariti. La ricostruzione riguardante i “pozzari” è più “cronachistica”, ma… non necessariamente più vera.

 

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