Dal balcone della mia stanza io vedo il mare, ne sento, pungente quanto familiare, l’odore; dal balcone della mia stanza vedo un cielo azzurro, che si colora di rosa all’imbrunire. Dal balcone della mia stanza, fino a una ventina di anni fa, il mare non si vedeva, non c’era nessuna brezza salmastra ed il cielo era cupo.
Quel balcone affacciava sull’Italsider o, per dirla come chi all’ombra degli altoforni c’è cresciuto, sul “cantiere”: mia nonna, quel balcone, lo lasciava sempre chiuso perché la polvere di ferro non entrasse, si sentiva, nitido, il suono della sirena che scandiva i tempi di quello stabilimento che mai si fermava, una patina rossastra, impalpabile, ricopriva tutto e conferiva all’intero quartiere, una sua identità, una sua anima.
Bagnoli, come tutte le zone limitrofe alla vastissima area occupata dal complesso industriale, era un quartiere operaio, tutto ruotava attorno a quell’enorme cuore pulsante fatto di torri, capannoni ed acciaio.
Nel 1992 quel cuore smette di battere, gli altoforni vengono spenti ed ha inizio una lunga quanto travagliata metamorfosi: affianco alle esigenze pratiche di dismissione e di bonifica dell’area, inizia il percorso di un quartiere che si trova orfano della sua identità, scoprire, per la prima volta dopo moltissimi anni, le potenzialità e le suggestioni del suo territorio: il quartiere deve esser restituito a se stesso ed ai suoi cittadini dopo aver prestato la sua anima al fuoco ed alle fiamme.
Dove prima c’era lo stabilimento ora è rimasta una vastissima area, un grande spazio vuoto che viene subito “riempito” da ambiziose idee che rimarranno solo tali: “La Piccola Venezia” immaginata da Young o il grande progetto pensato da Renzo Piano.
Non si parla più di cantiere, di turni o di acciaio, ma si parla di una Bagnoli che dovrà essere, di una “Bagnoli Futura” ad essere più precisi, anche se il futuro di questa Bagnoli stenta a decollare e si tinge di tinte sempre più fosche e cupe, come le fiamme che hanno portato via Città della Scienza.
Un territorio che doveva esser rivalutato, rinascere grazie ad una nuova vocazione turistica e commerciale, è divenuto l’ennesimo scenario di quelle squallide quanto tristi dinamiche politiche che il nostro Paese, sfortunatamente, ben conosce: pensare alla sconcertante notizia del sequestro delle aree dell’ex Italsider e dell’ex Eternit a causa di una bonifica costata ben più di cento milioni di euro che avrebbe, di fatto, esclusivamente peggiorato la situazione preesistente e, accanto a fattispecie penali ben note come “truffa” ed “appropriazione indebita”, drammaticamente pesa il reato di “disastro ambientale”, che ha il sapore di una definitiva condanna che grava sul quartiere tutto.
Ma la notizia non arriva improvvisa, le avvisaglie c’erano state: voler ricostruire la storia dell’ex area industriale significa fare i conti con una realtà fatta di errori marchiani, corruzione, spreco di denaro pubblico e di quel menefreghismo che sconcerta e che provoca più danni del dolo stesso; possiamo citare il caso del “Parco dello Sport di Bagnoli” costruito sull’amianto mai smaltito, costato oltre i trenta milioni di euro, completato da anni ma mai aperto al pubblico; oppure ricostruire le vicende della “Coppa America”, che avrebbe dovuto svolgersi proprio nelle acque di Bagnoli, dichiarate, però, eccessivamente inquinate e, per questo, abbandonate come location. Una storia, quindi, di slanci tarpati, “belle speranze” mal riposte e progettualità fallite e l’enorme area, una volta interamente occupata dal cantiere, appare, oggi, come una cicatrice che stenta a rimarginarsi, metafora tangibile delle potenzialità inespresse, non solo del quartiere, ma della Città tutta.
Oggi chi vive a ridosso dell’ex area Italsider, nonostante il tempo ormai trascorso, è immerso in una realtà ibrida: una generazione è passata, si è riscoperta la vicinanza del mare, le spiagge di cui ci si era dimenticati ospitano affollatissimi lidi, il pontile al quale attraccavano le navi cariche di ferro e carbone offre, oggi, la possibilità di una passeggiata panoramica nel mare, con l’apertura di una sede d’ingegneria le case degli operai sono diventati alloggi per studenti; la vocazione operaia è scomparsa, certo, ma Bagnoli stenta a ritrovare una nuova identità e ci si ritrova a far i conti con la pesante eredità di un passato che non riesce ad esser metabolizzato, con una grande rabbia ed un diffuso e generale senso di impotenza.
Bagnoli deve però ritrovarsi, lo deve a se stessa, lo deve ai suoi abitanti: i nipoti degli operai del cantiere, chi quel cantiere lo ricorda ancora in funzione; deve ricordare il suo essere quartiere forgiato al pari dell’acciaio prodotto negli altoforni e scoprire che il suo passato è la sua storia e che su di essa può trovare la forza di andare avanti.
Dal balcone della mia stanza io vedo il mare, vedo un cielo blu e sento forte l’odore del mare; dal mio balcone vedo un pezzo di questa Città, vedo uno scorcio di bellezza che non deve esser dimenticato.