Ci voleva l’articolo 9 della Costituzione per dirlo. Il paesaggio è qualcosa di unico, che si modifica sì ma non può replicarsi né sostituirsi. E va tutelato. Ma perché è così importante, soprattutto al Sud? E cos’è, esattamente, il paesaggio? Si potrebbe definire l’insieme di quegli elementi climatici, geografici, artistici e umani che delineano l’aspetto di un determinato territorio.
Cioè, praticamente, che la bellezza di un pezzo di Cilento o di Matese è fatta non solo dal mare o dalle montagne, ma da ogni filare di uva, da ogni abito tradizionale e da ogni profumo e luce di ciascun luogo. E quando questi fattori appaiono particolarmente concentrati, al punto da generare nell’uomo (che pur ne fa parte) opere d’arte e letterarie, nonché un effetto risolutivo e pratico sulla sua vita, ecco che si tramuta in un vero e proprio sentimento.
Cioè un modo vitale di comportarsi nel paesaggio e in sua funzione. Quel che è in pratica impossibile, ad esempio, all’interno di un distretto aziendale vecchio stile nel cuore degli Stati Uniti, o, per non spostarci troppo, nel deserto di sabbia nato dall’ex Italsider di Bagnoli, a Napoli. Paesaggio, dunque sentimento del paesaggio, dunque esercizio della sensibilità alla bellezza e scalata alla felicità. Ecco, in sintesi, l’opinione congiunta della riflessione filosofica moderna.
E per rispondere alla prima domanda — perché è così importante soprattutto al Sud — non servono nemmeno trattati e ponderose congetture. L’inclinazione alla conservazione della bellezza naturale è tutta figlia spontanea dei poeti meridionali di una volta, che hanno delineato questi luoghi nella loro unicità. I nomi si sprecano. Ma uno di questi, per lo più sconosciuto, è Pietro Gravina. Nato a Palermo nel 1453, pubblicò a Napoli i suoi Carmina nel 1532.
Tra i suoi scritti un’elegia è dedicata alle bellezze di Sorrento. Tutti gli elementi del paesaggio sono sintetizzati nei versi salienti: «Fosti opera della Natura in stato di grazia / […] In nessun luogo v’è più bella visuale sulle acque marine, o selve di frutteti sovrastano sui flutti trasparenti / […] Squilli di trombe non vengono a turbare la pace dei sonni, né il furore guerresco esaspera l’uso delle armi / […] Vecchi longevi, a cui l’età è stata prodiga di gioie, assaporano i grati prodotti del suolo / […] Qui ha luogo l’onore del rango equestre, qui sono le memorie degli antenati / […] Facile è l’accesso agli ospiti, né sono escluse le piacevoli conversazioni, e le mense si allestiscono in sontuose località».
C’è un filo diretto da questo canto alla vita felice, che è figlia del paesaggio, e l’articolo 9 della Costituzione. Perché? Perché Gravina non ha fatto alcuna scoperta, se non quella che unisce la penna del poeta a quella del legislatore: far venire a galla, nero su bianco, l’istinto naturale dell’uomo alla bellezza e alla gioia di una vita salubre, ad essa indistricabilmente legata.