Intervista a Elvis Esposito, Marcello Solara de l’Amica geniale

ph. Marcello Merenda

Ci vuole cuore a fare il ‘cattivo’. E ci vuole poesia. Rispetto ed educazione, soprattutto sentimentale. Dopotutto, senza tutto questo non avremmo avuto il Marcello Solara che abbiamo visto – odiato e amato – ne L’amica geniale, la serie-evento ispirata all’omonimo romanzo di Elena Ferrante e targata HBO e RAI, con la produzione di Wildside e Fandango e la regia (magistrale) di Saverio Costanzo. Quel Marcello lì, il più ricco e sfrontato dei pretendenti di Lila, ce l’ha regalato Elvis Esposito, classe ’94 e due occhi scuri e intensi come il caffè napoletano.

Del suo personaggio odia la spocchia e la vanità, ma la questione è più complessa di quella che può sembrare: “La sua posizione nella società è dettata dal denaro. Per di più, vivendo in un rione all’epoca povero e malfamato, poteva permettersi di ostentare il suo potere attraverso l’abbigliamento, i regali, il bar di famiglia. Però anche Marcello Solara si innamora. Con Saverio e con i coach della produzione abbiamo lavorato molto sul suo lato umano e forse in questo riesco a sentirlo vicino”.

ph. Marcello Merenda

Alla domanda su un eventuale modello di riferimento per entrare nei panni di Marcello Solara, Elvis risponde: “Se c’è una persona a cui, nel mio piccolo, mi sono ispirato per questo ruolo è Joe Pesci in Quei bravi ragazzi”. A parlare di cinema, e di cinema americano in particolare, gli occhi di Elvis Esposito, seppure scurissimi, vengono attraversati da una luce particolare: “Il mio amore per il cinema è nato tanti anni fa. Avevo cinque o sei anni e mio padre, grande appassionato, mi fece vedere Allarme Rosso di Tony Scott, con Denzel Washington. Forse è grazie a quel film che ho scelto di fare l’attore. Sono cresciuto guardando film: uno che consiglio a tutti è Nel nome del padre di Jim Sheridan. Le persone che mi hanno cambiato la vita attraverso lo schermo sono Robin Williams e Sir Daniel Day-Lewis”.

Qual è la soddisfazione più grande di chi fa questo mestiere? “Il pubblico. Il cinema, certo, richiede un grande investimento da parte dei produttori, ma alla fine il vero banco di prova non sono gli incassi al botteghino: è la gente. E per la gente ci vuole rispetto: se non hai rispetto per le persone non vali niente”. A proposito di rispetto, il discorso finisce sul tema della libertà delle donne (degli anni Cinquanta e del 2019): “È assurdo pensare che tutt’oggi, dall’altra parte del mondo, esistono forme di violenza come la lapidazione. Ma anche nella nostra società può capitare ancora di avere a che fare con un padre o un marito padrone. Io credo che una donna, prima di essere una donna, sia un essere umano, e come tale deve essere considerata. Senza contare che esiste anche un altro tipo di violenza, quella psicologica. A volte una parola è peggiore di una lama nel petto. Ci vuole educazione ai sentimenti: secondo me tutti dovrebbero leggere la poesia…. Leopardi, Shakespeare, la Divina Commedia”. Sì, anche per interpretare un arrogante come il Solara c’è stato bisogno di tutto questo e di molto altro ancora: “Nel mio piccolo, ho fatto tanta gavetta: l’aiuto-regista, la spalla ai provini. Ho studiato mimo corporeo con Michele Monetta, uno degli allievi del grande Decroux: ogni volta che si andava a fare lezione era un incontro con la storia. Decroux diceva: ‘Chi ha dentro un perchè, cerca un come’. E per farlo bisogna studiare…”.

Per L’amica geniale, infatti, studio e lavoro sono stati notevoli: “Ci hanno dato da vedere tanti film, italiani, degli anni Cinquanta. Anche sulla lingua abbiamo fatto un certo lavoro: era il napoletano di allora, sicuramente un po’ diverso da quello attuale. Per la scena del ballo, poi, abbiamo imparato il rock ‘n’ roll. Io e gli altri ragazzi del cast ci siamo divertiti molto”. Una ‘famiglia’, quella del cast di giovanissimi de L’amica geniale, che si è costituita sul set e che presto rivedremo sul piccolo schermo: “Attualmente stiamo facendo le prove per la seconda stagione de L’amica geniale… ci sarà molta più Napoli, e anche Ischia”.

Riguardo il futuro, Elvis Esposito parla di ‘pazienza’: “Questo è un lavoro particolare. Ci vuole pazienza. Ma se ami quello che fai e ci credi, arriverà il treno giusto per te. Devi saper aspettare, ma senza stare con le mani in mano. Diceva sempre Decroux: ‘L’esercizio elimina gli incapaci, sfrutta il talento medio e esalta il genio’. Forse un ragazzo che, come me, viene dalla provincia, può avere a che fare con i pregiudizi della gente. Però, finora, sono stato fortunato ad incontrare molte persone meritocratiche, secondo le quali quello che vali lo devi dimostrare”. Ha un tatuaggio che ritrae Maradona e frequenta assiduamente lo stadio, ma Elvis Esposito è molto legato anche alla città di Napoli, della quale dice di non poter fare a meno dell’‘anima’: “Anche chi viene da fuori, chi ci viene per la prima volta con qualche pregiudizio, si ricrede sempre. Noi siamo fatti così. In poche città mi sono sentito a casa come a Napoli”.

 

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