Di lei Eduardo scrisse, in una dedica affettuosa, dietro il biglietto d’ingresso di un suo spettacolo: “A Lina Sastri, la bella Lina che diventa ancora più bella quando entra in scena”. Come si può contraddire il grande drammaturgo? Soprattutto, è il caso di dire che quando c’è lei sulla scena è quasi impossibile distrarsi. Nel bene e nel male cattura lo spettatore in un vortice e lo trascina inesorabilmente nel suo mondo. E questo accade quando il testo è solo finzione. Cosa succede, invece, se ciò che si agita sul palco è la vita vera dell’attrice? Per ottenere una risposta al quesito c’è “La casa di Ninetta”, un libro (Marsilio editore) e un dvd (Raitrade). Un monologo teatrale con la regia di Emanuela Giordano, tratto da uno scritto di Lina Sastri, nato un paio di mesi dopo la morte della madre, Ninetta appunto. Il testo è andato in scena a Napoli, al Piccolo Eliseo di Roma, dove sono state fatte le riprese per il dvd, e al Teatro dei Comici, sempre nella capitale.
“Nello spettacolo c’è Napoli, – spiega Lina – la famiglia, un modo di essere madri e figli, ma anche la vecchiaia, la solitudine, la malattia e le donne. Il libro l’ho scritto di getto e c’è dentro il mio privato, il rapporto con mia madre. Per questo ho molto pudore a presentare pubblicamente quello che ho scritto. Finché lo si legge nel libro, va ancora bene. Ma salire sul palco per raccontare i fatti propri è stato molto imbarazzante. Per fortuna è andata bene”.
Anna, detta Ninetta, era la mamma della Sastri. Una donna malata di Alzheimer che, ridendo, diceva di volersene andare in America e cantava “con una voce leggera leggera, lanciando note altissime e pure, così, senza fatica, da seduta, con la musica nella voce”. Una voce che l’attrice napoletana ha immortalato, portando la madre in uno studio di registrazione. “È un racconto senza lacrime, che parla di lacrime. Ci sono anche tante risate improvvise e capricciose, come quelle dei bambini, con la grazia e la leggerezza di chi guarda al dolore con la dolcezza del perdono, e che regala emozione e gioia, e speranza nella vita, interrotto e condotto ogni tanto dal canto della voce di Ninetta”.
Quanto è stato difficile portare sul palco questo testo?
“Come è facile prevedere, è stato molto complicato. Lo scritto era nato come forma privata di sfogo, in quel momento non pensavo affatto che potesse diventare uno spettacolo. Poi, un giorno, Adriana Vianello, ufficio stampa del Teatro Stabile del Veneto, mi chiese se avessi mai scritto qualcosa di mio. Così le mostrai quelle pagine e lei se ne innamorò così tanto che le portò da Marsilio che poi diede il suo ok alla pubblicazione. Un’altra donna, Emanuela Giordano, ha abbracciato il progetto e accettato di curare la regia perché lo scritto potesse diventare uno spettacolo. Da sola non ce l’avrei mai fatta. Quando reciti un testo, per quanto ti puoi immedesimare, resti comunque chiusa in quella storia. Invece, nel mio caso, avendo vissuto personalmente quella fetta di vita, mi capitava di lasciarmi trascinare dai ricordi col rischio di andare oltre le parole scritte”.
E c’è ancora una terza donna che ha avuto un ruolo fondamentale in questo progetto…
“Sì, è Alba Calia di Raitrade che ha reso possibile la realizzazione del dvd. Credo molto nelle donne, amo lavorare con loro”.
Ancora oggi si discute tanto sulla dignità e sul ruolo delle donne. Lei cosa pensa a riguardo?
“Non mi piace fare commenti pubblici su questi temi, perché spesso vengono utilizzati per fini politici. Per esempio, se dici che non ti piace Saviano, per qualsivoglia motivo, allora vuol dire che sei favorevole alla Camorra, o magari sei dalla parte di Berlusconi. Anche nel caso dei presunti festini ad Arcore, vorrei soltanto dire che queste ragazze che sono finite nell’occhio del ciclone non sono vittime, perché qualora fossero vere le accuse della Procura di Milano, è stata una scelta precisa, quella di vendere il proprio corpo. E ognuno si prende la responsabilità delle proprie azioni”.
Tornando a sua madre, Ninetta, come crede che avrebbe commentato queste notizie?
“Mia madre era una donna fantastica, aveva solo la seconda elementare, ma una dignità da gigante e una grande forza che le veniva dal suo modo di vivere l’amore. Quando le comunicai che volevo fare l’attrice, infatti, la sua unica preoccupazione fu che la vita da zingara, anche se di lusso, mi avrebbe impedito di vivere completamente una delle cose più importanti per una donna: l’amore, appunto. E forse aveva ragione…”.