Sono il figlio di Maddalena Cerasuolo, meglio nota con il nome di battaglia di Lenuccia. Vorrei raccontare brevemente la storia di mia madre, che molti avranno già incontrato sui libri di storia (mamma è stata l’unica partigiana delle Quattro Giornate di Napoli a essere decorata con una medaglia al Valor Militare). Le cose di cui voglio parlare le ho apprese dalla sua voce nel corso degli anni trascorsi insieme. Lei ne parlava quasi come di un fatto normale: come se fosse evento quotidiano salvare un ponte dalla distruzione o attraversare diverse volte le linee tedesche per operazioni di spionaggio organizzate dai Servizi Segreti inglesi.
Mamma era nata a Napoli il 3 febbraio 1920, in uno dei quartieri di nobiltà decaduta più popolosi della città: Materdei. Come si usava all’epoca, era stata dichiarata all’anagrafe con cinque giorni di ritardo. Cresciuta nel mito di una sorella paterna sua omonima, aveva assorbito da lei un carattere fortemente epicureo. Coerente con l’antico filosofo ateniese, di fronte alle difficoltà della vita soleva dire: “Domani Dio ci pensa!”.
A 23 anni partecipa, armata di un vetusto fucile “modello 91” (così denominato perché era un residuo bellico, appunto del 1891) alle tragiche ed eroiche “Quattro Giornate” nelle quali – unica donna combattente – si distingue per spericolatezza e intraprendenza. Ecco i fatti.
Verso la fine di settembre 1943 i tempi sono maturi per la rivolta. In seguito alla mancata osservanza del sinistro proclama del Colonnello Walter Scholl, comandante della piazza d’armi di Napoli, che reclamava 30mila schiavi-operai da spedire in Germania per utilizzarli nelle fabbriche del III Reich, vengono rastrellati migliaia di giovani napoletani. Il popolo, che fino a quel momento aveva stoicamente sopportato (da parte degli ex alleati e dei fascisti) umiliazioni e vessazioni di ogni genere, vedendosi colpito negli affetti più cari, insorge. Maddalena, consapevole che la mortale partita con i tedeschi stesse per avere inizio, aveva già da qualche giorno cominciato a fare il giro delle caserme e dei posti di polizia del circondario, alla ricerca di armi da distribuire ai partigiani. In una di queste missioni, si era trovata a fare la solita richiesta al comandante di stazione dei Carabinieri, dalle parti di Salvator Rosa. Si era sentita dare più o meno questa risposta: – Avrai le armi se consegni questo messaggio (scritto in tedesco, era una richiesta di resa) al soldato che troverai all’ingresso della fabbrica di scarpe di Vico Trone (ossia, precisamente, al viale dei Gesuiti). Il militare aveva pensato, per fortuna giustamente, che se a consegnarlo fosse stata una donna non avrebbero osato spararle. Bisogna ora dire che i tedeschi, comprendendo che lo scontro con gli alleati anglo-americani fosse ormai imminente, avevano deciso di ritirarsi e, nella fuga, si erano dati al saccheggio, depredando qualsiasi cosa di valore che gli fosse capitata a tiro; nel famelico tentativo di razziare quella fabbrica del cuoio e delle pelli, si erano trovati assediati dai partigiani. Così, pur di avere le armi, la ragazza si accolla il rischio – con tutte le conseguenze possibili – di fare da ambasciatrice, accettando di consegnare di persona l’intimazione vergata dall’ufficiale.
Armata solo di fazzoletto bianco e di tanto coraggio, Maddalena va e consegna il biglietto a uno dei tedeschi appostati all’ingresso dell’edificio; di ritorno, dopo qualche istante, il militare le dice testualmente “ Nix, raus!”; al che segue una furibonda sparatoria e i tedeschi, lasciando più di un compagno a terra, sono costretti ad abbandonare i loro propositi. Nello scontro a fuoco perde la vita il tenente Musella, colpito da un proiettile alla gola. In quello stesso pomeriggio, a fianco del padre – la medaglia d’argento al V.M. Carlo Cerasuolo – comandante di uno sparuto gruppo di partigiani, contribuisce a salvare il Ponte della Sanità da distruzione certa, sventando il tentativo dei tedeschi di minare la struttura per coprirsi la ritirata verso nord. Questo episodio merita di essere raccontato con maggiore dettaglio: di passaggio nei pressi dell’incrocio tra Via Salvator Rosa e Santa Teresa degli Scalzi, Lenuccia si avvede di due tedeschi che, scesi da un sidecar e fermato un anziano, gli chiedono dove sia ubicato il Ponte della Sanità. Capite al volo le loro intenzioni, corre a casa a raccontare l’episodio al padre, il quale, già a conoscenza di cosa volesse significare una simile eventualità, riuniti in fretta i suoi uomini e “scortata” Maddalena, corre in direzione del Ponte. Giusto in tempo: due tedeschi, dopo aver srotolato il filo di un detonatore a contatto elettrico, si sono calati in un tombino posto di fronte all’ascensore, predisponendo delle cariche di tritolo, mentre un autoblindo li attende all’altro capo del viadotto. Ingaggiando un furioso scambio di colpi di fucileria, i partigiani ne eliminano uno e riescono a far scappare l’altro. Il tenente Dino Del Prete si lancia nel tombino e strappa il filo dall’esplosivo, lanciandolo in aria (come efficacemente descritto dal libro “Duce! Duce!” di Richard Collier). L’azione, oltre a sventare la devastazione del viadotto, permette il salvataggio di molte vite umane, dato che la struttura si eleva, ora come allora, su di un consistente agglomerato di abitazioni civili. Fa una certa impressione il pensiero che molta di quella gente – all’epoca poco più che bambini – sopravvissuta alle vicissitudini della guerra deve la vita, del tutto inconsapevolmente, a una ragazza di appena ventitré anni.
In seguito, Maddalena partecipa all’attacco contro due carri armati Tigre; in quell’occasione perde la vita l’undicenne Gennaro Capuozzo – suo cugino – colpito a morte sul terrazzo dell’Istituto delle “Pie Madri Filippini” (decorato alla memoria con medaglia d’oro al V.M.). Finite le “Quattro Giornate”, ai primi di ottobre del ’43, al balcone di Palazzo Salerno in Piazza del Plebiscito, Maddalena accoglie con un mazzo di fiori – a nome della città già libera – il comandante delle truppe anglo-americane.
In seguito viene reclutata dalla Special Force inglese, per la quale svolge diverse azioni di spionaggio, come attestato dal decreto di benemerenza, che recita: “ha collaborato con questo Comando dall’ottobre 1943 al febbraio 1944. Durante questo periodo, dopo essersi comportata eroicamente durante l’insurrezione di Napoli… etc.”.
Un altro episodio che testimonia il suo coraggio e la sua prontezza di azione: nell’estenuante ricerca di armi, arriva alla Caserma Garibaldi di Via Foria; purtroppo ci arriva in ritardo, perché altri partigiani avevano già portato via quasi tutto; ciononostante, riesce a rimediare delle piccole bombe a mano Breda, riempiendo una borsa di rafia fino all’orlo. All’uscita dell’edificio si accorge con ritardo del sopraggiungere, proveniente da Piazza Carlo III, di una corazzata tedesca. Con una presenza di spirito impressionante e non prima di aver mandato via, per mettersi in salvo, il suo accompagnatore Antonio Imperatore (che chiamava “Totonno”), Lenuccia depone la borsa contro il muro di cinta della caserma, allarga il suo bel vestito a fiori e… si siede sugli esplosivi, aspettando in tutta tranquillità il transito del convoglio. Racconta personalmente questo episodio attorno alla metà degli anni ’80, durante la trasmissione televisiva “Il centenario della Statua della Libertà” (di cui sono stato diretto testimone), condotta dal giornalista Pietro Badaloni.
Questi sono solo alcuni degli episodi di cui mia madre si rese protagonista. Maggiori dettagli sono descritti nel libro “La guerra di mamma”, scritto da mia sorella Gaetana, pubblicato a cura del Comune di Napoli per l’editore Massa.
Per quanto compiuto le viene riconosciuta – davvero poco generosamente – la medaglia di bronzo al valor militare. Altro “riconoscimento”, ottenuto con un viaggio a Roma presso la Direzione Generale dei Monopoli di Stato, è un posto di lavoro come operaia presso la Manifattura tabacchi di Napoli, oltre a una “lauta” pensione di guerra di ben 100.000 lire annue (avete capito bene: annue), pari ad attuali 51 euro e 65 centesimi.
Maddalena Cerasuolo è morta il 23 ottobre 1999, non vinta. Dalla sua morte sia chi scrive, sia un nutrito gruppo di persone – tra cui si è particolarmente distinto il giornalista Francesco Ruotolo, pianificando una raccolta di firme durata ben quattro anni e organizzando diverse iniziative – si sono impegnati a vario titolo per ottenere per Lenuccia Cerasuolo la dedica di quel ponte che grazie a lei può essere ancora attraversato da milioni di persone ogni anno. È utile ricordare che la sua costruzione fu iniziata durante il cosiddetto Decennio Francese (il 15 settembre del 1807) per volere di Gioacchino Murat. Il cognato di Napoleone Bonaparte volle così collegare la reggia di Largo di Palazzo – come era allora appellata l’attuale Piazza del Plebiscito – con quella di Capodimonte, rendendo agevolmente percorribile il Corso Napoleone. In quell’occasione venne notevolmente abbassato il piano stradale di via Santa Teresa, furono demoliti diversi fabbricati e distrutto il Largo Sant’Agostino. Nel suo slancio di modernità e nell’intento di rendere Napoli (sulla scorta degli ideali rivoluzionari del 1789) una metropoli laica, il sovrano francese inaugurava a tempo di record, nel marzo del 1809, il viadotto a sette campate, a tutti noto col nome di Ponte della Sanità. È opportuno, in merito, chiarire che “Ponte della Sanità” è un toponimo comodo, solo perché sovrasta il vallone cosiddetto, appunto, della Sanità.
A epilogo di una parabola dipanatasi per molti anni, fatta di molte speranze e di tante delusioni, di istanze personalmente inoltrate a tre Presidenti della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano), da una nutrita serie di convegni e di manifestazioni pubbliche, da un numero rilevante di articoli pubblicati da diverse testate e dall’entusiasmo di tanta gente – sia quelli che l’hanno conosciuta personalmente che quelli che ne hanno solo sentito parlare – accogliendo tutto questo, d’intesa con la Commissione Toponomastica e su proposta dell’Assessore Alfredo Ponticelli, il Comune di Napoli ha finalmente emanato la delibera in cui ratifica la determinazione della Città a riconoscere a questa misconosciuta eroina il valore di quanto compiuto in quei tragici e gloriosi giorni dell’autunno del ’43.
Il “Ponte Maddalena Cerasuolo” non solo come memoria viva, attuale, ma anche come collegamento tra le generazioni, come mano tesa a incontrare la storia e il futuro che appartiene ai nostri figli. A maggior merito dell’azione compiuta dall’Amministrazione Comunale, piace ricordare che questo Ponte è uno dei pochissimi esistenti in Europa che sia dedicato a una donna. Sottolineare con enfasi che l’intitolazione del Ponte a Maddalena Cerasuolo è grande vanto per la nostra città e legittimo riconoscimento per una delle figlie più care, eroiche e modeste della Resistenza nazifascista a Napoli.