Mercoledì 25 febbraio presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sezione San Tommaso d’Aquino, in viale Colli Aminei, a Napoli – si è tenuto il Convegno “Il futuro della fede in un tempo di crisi”.
Nel pomeriggio della giornata, durante la quale sono intervenuti i docenti della Facoltà Teologica – Gaetano Castello, Roberto Gallinaro, Carmine Matarazzo, Adolfo Russo, Ignazio Schinella – ha preso la parola lo scrittore Erri De Luca.
L’intellettuale, nel dibattito moderato dal Mons. Gennaro Matino, con gli interventi del sociologo Luca Diotallevi dell’Università Roma Tre, successivamente all’introduzione di Carmine Matarazzo, Direttore dell’Istituto di Scienze Pastorali, ha tenuto una lectio magistralis sul tema “Futuro della fede e libertà di parola”.
“La parola crea. La parola ha dato inizio alla creazione, parlando continuamente per sei giorni. Essenzialmente, la parola è la materia prima che noi rinnoviamo e rimoduliamo di volta in volta”.
Si comprende come non vi sia dono più progressista della parola, che trova la propria linfa in sé stessa. La libertà di parola della Divinità arricchisce continuamente l’albero della conoscenza.
“Siamo liberi di decidere per una conoscenza del bene o del male. È una libertà di sbaraglio”. De Luca riporta poi l’episodio sulla lapidazione dell’adultera, contenuto nelle Sacre Scritture: “Gesù, quando gli scribi e i farisei corsero al tempio per chiedere sul da farsi, scriveva sulla sabbia. Nei giorni di festa è vietato scrivere o compiere esecuzioni. È concesso però scrivere sulla sabbia. Non è esplicitato se fosse giorno di festa – formalmente il sabato – tuttavia, comprendiamo che per Gesù lo fosse. È sempre sabato quando viene ucciso un uomo, poiché è inammissibile giustificare l’omicidio. Dunque, chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Erri De Luca, alla conferenza stampa precedente alla lezione, ha rilasciato alcune dichiarazioni per i lettori de “l’Espresso napoletano”.
Come commenta le parole del Pontefice, di ritorno da Manila, dello scorso 15 gennaio?
Io non posso insultare, provocare una persona continuamente perché rischio di farla arrabbiare, rischio di ricevere una reazione non giusta. Ma è umano quello. Per questo dico che la libertà di espressione deve tenere conto della realtà umana e perciò dico deve essere prudente.
In questo senso, cosa rappresenta per Lei la parola prudenza?
Se ci concentriamo sul dibattimento che se ne fa in giurisprudenza, consideriamo per prudenza le modalità di interazione con l’altro, con la persona che hai di fronte, non intaccando l’integrità della stessa. Nel caso poi delle vignette irriverenti, si tratta di interpretare il grado della temperatura religiosa, che ha oggi raggiunto una sua incandescenza. Al momento possiamo soltanto constatare i fatti che ci arrivano dalla realtà di ogni giorno: una guerra per la vita e per la morte. Se offendiamo una questione di vita o di morte, dobbiamo pur aspettarci qualcosa.
Il Papa ha più volte affermato che “la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza”. Ora, è possibile ovviare a questa escalation di sangue e terrore?
Innanzitutto, dobbiamo cercare di non offendere nessuno. L’irriverenza va avanti, ma il confronto è necessario. L’urto ha le sue conseguenze.
Gli attentatori di Parigi ad inizio gennaio e quelli nella sparatoria del 14 febbraio a Copenaghen durante un convegno sulla libertà di parola, i boia dello stato islamico. Come considera tali individui?
Sono estremisti, fanatici, nemici giurati della libertà di parola. Dove instaurano il loro dominio la cancellano.
Libera opinione e libera religione in una libera democrazia. È possibile tutto questo?
Con tutte queste libere sarebbe anche possibile, tuttavia tutto dipende dalla parola democrazia, che contiene in sé la stessa possibilità di affondarsi.