Intervista ad una delle protagoniste de “L’Italia dei Napoletans”: scherzosa commedia all’italiana.
Facendo un po’ d’ordine tra i miei Dvd, mi è capitato tra le mani quello di un lungometraggio tutto ambientato tra napoletani, pardon, tra napoletans… Il film ha segnato l’esordio al cinema del regista Luigi Russo ma ha ritrovato anche nomi e volti conosciuti. Commedia all’italiana fatta di intrecci ed equivoci, al centro della quale campeggiano una “normale” famiglia napoletana che vive in un “normale” paesino campano, una conturbante presenza sexy e tante risate… In questa trama divertente non poteva mancare un lui con l’immagine perfetta del marito esemplare e del professionista, Maurizio Casagrande, ed una lei, amante provocante che non disdegna né il buffo gioco erotico né il tradimento a danno dell’amante stesso… Ecco la “lei”, volto noto al pubblico teatrale partenopeo: è Susy Del Giudice che, nei panni di Assunta, ha fatto parte del cast dei Napoletans, napoletana “doc”.
Il film Napoletans non è stato certo un tuo esordio cinematografico: eppure nasci come attrice teatrale…
Grazie a nostro padre che era un rammentatore, ovvero un suggeritore, una delle figure più nascoste quanto fondamentali del teatro, ho iniziato presto a calcare le scene in un’epoca in cui a Napoli vi era ancora un tradizione teatrale unica come quella della sceneggiata. Ho potuto vivere così esperienze indimenticabili ed irripetibili. Ho vissuto accanto a chi il teatro lo “respirava”, con personaggi come i fratelli Maggio e tanti altri.
Qualche ricordo in particolare?
Ho un ricordo vivo di Beniamino Maggio: sembrava molto burbero ed introverso, al contrario era una persona divertentissima. Sebbene avessi solo sette anni, pretendeva che arrivassi sempre prima dell’ora di convocazione: ci teneva a formare questa piccola bambina. Si metteva in platea e mi ascoltava: mi chiedeva di dire qualche battuta. E dopo uno sguardo verso papà, che mi rassicurava e mi faceva cenno di eseguire le richieste di quell’uomo che a stento vedevo nel semibuio della sala, iniziavo a parlare. Lui, Beniamino, si allontanava sempre di più dal palco, portandosi verso gli ultimi posti della platea. Poi mi faceva una richiesta che non capivo: mi chiedeva di “portare la voce”, fare in modo che arrivassero a lui le mie parole senza gridare. Dovevo “portare la voce” non solo in prima fila ma in tutto il teatro. Senza che io lo sapessi, mi allenava a parlare col diaframma: Quando ho poi studiato con Antonio Sinagra canto e con Massimo Borghese educazione fonetica, ho capito cos’era “portare la voce” intuendo cosa intendesse fare Beniamino Maggio con me…
Se è così importante l’impostazione della voce come hai vissuto l’approccio alla camera…
È stato un impatto particolarissimo: ho debuttato con il teatro da piccolissima e, grazie al lavoro di papà, si può dire che per me tutto era familiare; col cinema, nonostante il primo impatto sia avvenuto a 9 anni, tutto era diverso. L’opportunità mi fu data da Pasqualino sette bellezze della Wertmüller. Vi partecipai con grande entusiasmo: all’improvviso ho visto questo “mostro”, la cinepresa. Mi dicevano di parlare dolcemente, non c’era più bisogno di “portare la voce”. Mi dicevano di recitare, ma io non vedevo il pubblico… quasi non capivo. Col tempo ho imparato le grandi differenze tra il “grande mostro” e l’impatto col pubblico: il teatro ti chiede di proporre quello che hai imparato un mese prima e di partecipare alle emozioni del pubblico. Mentre davanti al “grande mostro”, devi recitare a piccole dosi. Ma non mancano emozioni quando poi puoi vedere il risultato e ti rendi conto di quello che hai fatto insieme agli altri.
C’è qualche personaggio a cui è legata maggiormente?
Di nomi ce ne sarebbero tanti; ogni lavoro ed ogni regista mi ha dato molto: Luigi De Filippo mi ha sempre detto che suo zio, Eduardo, amava ripetergli “miettete aret’‘e quinte e arruobbe”, ovvero, gli consigliava di stare vicino al palco e “rubare” i trucchi del mestiere. È stato un grande consiglio. Ancora oggi quando posso sono dietro le quinte per cercare di carpire i lati migliori delle persone che mi lavorano accanto. Così ho imparato da tutti quelli con cui ho lavorato: ed in particolare Giuffré, Scarpetta, Danieli, Sastri, Rivieccio, Marchini, Salemme, Loy, Rabaglia, Capuano, Sironi, Terracciano, i fratelli Taviani, Salveti, Verde, Pugliese, Crivelli e Giancarlo Sepe con il quale ho portando avanti un importante proposta innovativa: si tratta dello spettacolo Napoletango prodotto dal Teatro Eliseo di Roma dove le performance sono un intreccio di atti simbolici, ballo e racconto… tutto a ritmo di tango.