Napoli, negli anni del Viceregno spagnolo. Nel 1575 il re Filippo II emana un ordine, perentorio e irrevocabile: in tempi brevi, brevissimi, in città dovrà essere costruito un nuovo Arsenale, adatto alle nuove esigenze della flotta reale, che non naviga più solo nel Mediterraneo, ma si spinge lontano, nelle cosiddette terre d’oltremare, fino ad attraversare l’Oceano Atlantico.
Servono navi diverse, adeguate per percorrere immense distanze, e capaci di difendersi in caso di assalto corsaro da parte dei nemici della Spagna, nemici temibili quali la Francia, l’Olanda, l’Inghilterra. In tempi rapidissimi vengono trovati gli spazi per il nuovo Arsenale, scelti gli uomini, e i lavori cominciano, per concludersi dopo tre anni.
Questo è l’elemento storico a cui si ispira il nuovo romanzo di Gherardo Mengoni, “La ragnatela”, presentato questo pomeriggio all’Instituto Cervantes. La ragnatela è l’intricata realtà partenopea di quegli anni di splendore e miseria insieme, una realtà in cui emerge l’indole dei Napoletani, fatta di furbizia, intelligenza, violenza, fatalismo, superstizione, cortigianeria.
Questa è la Napoli che legge il Mengoni, e che racconta, in un romanzo storico avvincente, in cui per lui “Napoli non è monade impazzita né scrigno di virtù, ma incubatore di mediterraneità”. Nel romanzo compaiono trentasei personaggi, che rendono l’intrico complesso e nello stesso tempo affascinante: sono uomini e donne, vittime e carnefici, vincenti e perdenti, e sono, come spiega l’autore, “le due facce della città: il popolo basso e la nobiltà d’acquisizione”, la miseria del popolo colonizzato e sottomesso, e la ricchezza dell’aristocrazia.
Particolare attenzione viene riservata nel romanzo alle figure femminili, ognuna a suo modo soggetta e sofferente, condannata ad un destino di dolore. Proprio sui personaggi femminili de “La ragnatela” si è soffermata durante la presentazione la scrittrice Antonella Cilento, che ha posto l’accento in particolare sulla figura di Laura Terracina, personaggio realmente esistito e documentatissimo, una nobile poetessa che si fa cortigiana d’alto bordo per avere la possibilità di emergere in un mondo dove le donne erano sempre lasciate ai margini.
“Laura era una poetessa come nel Cinquecento ce ne erano varie – così la Cilento – , poi nel Seicento le voci femminili scompaiono, complice forse l’austerità della Controriforma, che non accettava più che le donne potessero avere certi spazi di libertà. Le voci di donne ricompaiono nel Settecento, il Secolo dei Lumi. Nel romanzo del Mengoni tutto l’intrico della narrazione si gioca sull’esercizio del potere, su come vengono mosse le varie pedine, e ciò che emerge prepotentemente è l’abilità antica, tutta partenopea, di rimettersi in luce nonostante le difficoltà”. Per la scrittrice “La ragnatela” è un grande romanzo corale, in cui l’autore riesce a raccontare la storia senza giudicarla, e la forza del racconto, come in ogni romanzo storico, è nelle mani del narratore, anche se il canovaccio di base è formato da luoghi e personaggi reali. Ne emerge un ritratto di Napoli e della sua gente tra il vero e il verosimile, di ampio respiro e sicuramente avvincente.