Che ci volessero anni per costruire la reggia che aveva osato sfidare Versailles, è cosa nota. Che fosse l’iniziativa di un sovrano illuminato — Carlo di Borbone — lo è altrettanto. Quel che è meno noto è che alla base di un’iniziativa architettonica del genere, che aveva il compito di modificare un intero distretto territoriale e nel contempo sgomitare per un posto sul podio dei prodigi artistici d’Europa, c’era un piano cerimoniale grandioso forse appena un pelo meno dell’opera stessa.
Capiamoci: Carlo rischiava di non veder finita un’opera del genere, che in effetti fu terminata da suo figlio Ferdinando IV. E nemmeno il suo celebre architetto, Luigi Vanvitelli, riuscì a smantellare i cantieri, ultimati da suo figlio Carlo, dal 1773. Eppure l’effetto — diciamo la “pubblicità” — doveva partire da subito. Ancor prima dei mattoni. Perciò Luigi Vanvitelli dovette presentare al re un vasto piano d’interventi per quella che sarebbe stata la reggia, e non solo dei normali progetti.
L’idea della reggia era chiamata a farsi opera d’arte ancor prima che questa stessa. Fu questo il compito della Dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta, pubblicata nel 1756 nella Reale Stamperia di Napoli. Lì, alla dedica, in cui si evidenzia il ruolo del re che in prima persona pareva dettare l’architettura all’autore, segue una dettagliata spiegazione di ogni ordine e tipo di lavoro, dalle fondazioni alle decorazioni.
Ed ogni riferimento ha un preciso intento apologetico e morale: perché visitatori, ambasciatori e rappresentanti politici di ogni nazione tremassero innanzi alla tempra del sovrano, che non voleva sottomettere il mondo a cannonate, ma sedurlo con la potenza dell’arte. Decine e decine, poi, i disegni vanvitelliani del volume, rappresentanti ogni punto della fondazione, e capaci di trasformarsi in veri e propri dipinti di paesaggio, nel ritrarre ambienti esterni e giardini, dove financo l’ultima aiuola è perfettamente delineata. Ma non era tutto.
Prima del perimetro d’inchiostro, il re Carlo ne voleva uno fatto di uomini. Perciò, la cerimonia d’inaugurazione del 1752 fu accompagnata da musiche e colpi d’artiglieria, ma anche di un particolare “coreografia”: si disposero tanti soldati lungo quelli dovevano essere i lati della fondazione, di modo da avere già un cordone umano che rappresentasse l’intento del sovrano. Oltre il “dietro le quinte”, il resto è storia nota, che affascina e affascinerà nei secoli.