La rinascita del Museo Duca di Martina

La Villa Floridiana, e precisamente la residenza principesca oggi ribattezzata Museo Duca di Martina, è uno dei più bei musei di Napoli fin dal suo allestimento nel 1930. Nata come pegno d’amore per Lucia Migliaccio, moglie morganatica di Ferdinando IV di Borbone (che la sposò appena dopo 3 mesi di vedovanza da Maria Carolina d’Austria!), il casino di caccia, che è tra i più antichi tra i moderni insediamenti sulla collina vomerese, ha attraversato negli ultimi anni una drammatica discesa, assieme al suo splendido parco all’inglese, che solo recentemente ha ricevuto il recupero di cui aveva urgentemente bisogno.

Già un primo accordo stipulato tra Soprintendenza e Comune (raccontato da “l’Espresso napoletano”) aveva promosso il divincolamento del conflitto burocratico tra i due Enti, in gran parte responsabile della compromissione del sito. I lavori, possibili grazie al progetto “Attrattori culturali, naturali e Turismo” del 2013, e finanziati con fondi Poin Fesr 2007/2013, hanno portato alla recente riapertura di buona parte del parco, come il Belvedere e il Teatrino delle Verzure, non ancora però sufficiente, per il pregio del sito e per la richiesta di verde pubblico.

Punto d’eccellenza però è la splendida ripresa della Villa, edificio neoclassico su due piani, di cui l’ultimo per la prima volta allestito e reso visitabile. Si aggiungono al già stupendo corredo del museo, sparso sul piano seminterrato con la collezione orientale, e sul piano terra, con dipinti e arti applicate provenienti da mezza Europa, quattordici nuove sale in cui sono messi in scena meravigliosi reperti.

Ma cos’è il Museo Duca di Martina? Principalmente un museo di arti applicate, quelle che erroneamente vengono definite “arti minori”, e che invece testimoniano l’eccellenza professata nel culto dell’oggetto miniato, che nei secoli ha rappresentato spesso l’apice del gusto e il simbolo del più intimo e prezioso corredo. Infatti la collezione trova il suo pregio principalmente nell’essere tanto ricca quanto relativamente piccola, possibile da visitare soffermandosi con uguale attenzione su manufatti di estremo valore.

E l’allestimento permette di goderne al meglio, non scordando, nella disposizione pur ordinatissima e di esemplare rigore museologico, quel naturale rapporto con lo spazio che armonizza l’ambiente e non compromette affatto — anzi esalta — l’atmosfera di casa-museo, massimamente apprezzabile nel salone da ballo. Questo sfarzoso ambiente foderato di parquet, affrescato e adornato da rilievi e fregi ionici, con lo splendido mobilio e la suppellettile rigorosamente conservata è il perno estetico del museo, e nella sua naturale interazione col paesaggio rivela un ambiente storicamente vivo e tangibile.

Caratteristica saliente è l’eterogeneità della collezione: oggetti in avorio, in pietre dure, mobilio in diverse essenze lignee, madreperla, ori, smalti, lamine di diversi metalli, vasi, ceramiche, servizi da tavola. E ancora, oggetti di uso personale tra i più disparati e bizzarri: bocchini, orologi, pettinesse, fermacapelli, tabacchiere, portagioie, occhiali e tanto altro. Ogni sala è fornita del suo specifico pannello guida, per avere immediato il riferimento all’oggetto, con informazioni sintetiche e chiare. Non mancano però dipinti, e certo non di complemento, ospitando la villa diverse opere, ad esempio dei campioni della pittura napoletana Francesco Solimena e Francesco De Mura.

E tutto proveniente dai quattro angoli d’Europa. Questi pregevoli elementi, con le già citate trentasei sale della collezione orientale, fanno di questo museo rimesso a nuovo una “pulchra imago mundi”, un’irrinunciabile finestra sul mondo aperta sulla cresta di Napoli, che ha tutte le carte per essere non solo custode del patrimonio storico-artistico napoletano, ma anche per divenire centro promotore di nuova cultura e studio e segno d’interazione inscindibile col paesaggio. Il tridente d’acciaio dell’Italia.

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