Quella di Masaniello è la storia eccezionale di un pescivendolo che finì per governare per dieci giorni una delle città più importanti d’Europa.
Masaniello – è questo il nome con cui passerà alla storia Tommaso Aniello – nacque a Napoli il 29 giugno 1620 da una famiglia di riparatori di scarpe. Le ricostruzioni storiche vogliono che all’epoca della rivolta, il 1647, Masaniello fosse un venditore di pesce ventisettenne con un carisma e uno spirito fuori dalla norma.
All’epoca Napoli era un vicereame spagnolo. Nella prima metà del Seicento la Spagna degli Asburgo aveva grossi problemi finanziari dovuti alle numerose spese belliche. Per questa ragione, la pressione fiscale in città era enorme. La situazione divenne insostenibile con l’intromissione della gabella della frutta, un forte aumento sulle vendite delle merci.
La moglie di Masaniello, Berardina, trascorse otto giorni in carcere perché trasportava un sacco di farina su cui non aveva pagato la tassa. Suo marito la liberò pagando una grossa cifra. La tradizione vuole che questo avvenimento fece scattare un senso di desiderio di vendetta tale da muovere Masaniello a guidare la rivolta popolare. Masaniello cercò di sollevare il popolo non solo contro il trattamento insostenibile imposto dagli spagnoli, ma anche contro il patriziato napoletano, ritenuto accondiscendente e lontano dalle esigenze popolari.
La rivolta
Nei giorni prima dell’azione, Masaniello riuscì a farsi rappresentante del popolo, sia nelle sue componenti più disorganizzate e povere sia quella parte del popolo organizzato nelle arti e corporazioni. Il 30 giugno il giovane pescivendolo radunò gli Alarbi, un gruppo di lazzari che si componeva di centinaia di ragazzi minorenni vestiti da arabi ed armati di canne.
Nella notte tra il 6 e il 7 giugno 1647 a piazza del Mercato, luogo della riscossione delle imposte da parte degli ufficiali del governo spagnolo, i rivoltosi incendiarono la “casa” della gabella della frutta. Il giorno seguente, il 7 luglio i lazzari e Masaniello sollevarono la popolazione al grido di «Viva il Re di Spagna, mora il mal Governo, e fora le gabelle» ed entrarono nel Palazzo.
Il duca d’Arcos riuscì a salvarsi e si rifugiò nel Convento di San Luigi. Da qui mandò all’arcivescovo di Napoli, il cardinale Ascanio Filomarino, un messaggio in cui prometteva l’abolizione di tutte le imposte.
Masaniello capitano del popolo
In seguito all’assalto alle carceri che aveva portato alla scarcerazione di migliaia di persone, Masaniello divenne capitano generale del popolo e si organizzò un governo popolare in opposizione a quello del viceré. Insieme all’altro capo popolare Genoino, il capitano iniziò a negoziare con il viceré per cercare un cambiamento delle condizioni di vita in città. L’11 luglio, Masaniello si recò a palazzo insieme al cardinale e a Genoino per incontrare il viceré e riportare la pace.
Il 13 luglio 1647 il duca d’Arcos firmò le carte che stabilirono un trattamento di favore nei confronti del popolo. Il successo di Masaniello fu però brevissimo. Secondo tradizione, iniziò a dare segni di pazzia a causa dell’assunzione di un potente allucinogeno somministratogli in un banchetto nella reggia.
Il tradimento e la venerazione
Il capitano del popolo, ritenuto infermo, fu chiuso in cella e congiurato da compagni corrotti, primo tra tutti Genoino. Masaniello morì fucilato, e il suo corpo fu decapitato e trascinato per le strade della città. La testa fu consegnata al duca d’Arcos come prova della sua morte e i congiurati furono premiati dalla Corona di Spagna.
Per placare le manifestazioni di sdegno popolare, il 18 luglio 1648, si tennero i funerali solenni e la processione del feretro per tutta la città, quasi come un santo. La sua salma, conservata nella basilica del Carmine, divenne oggetto di una forma di venerazione religiosa. Questa usanza terminò solo quando, dopo la fine della rivoluzione napoletana del 1799, re Ferdinando IV di Borbone ordinò la dispersione dei resti di Masaniello.
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