È più forte di me. Non riesco proprio a reprimere il moto di malinconica nostalgia che mi molce il cuore quando sul piccolo schermo passano quelle pellicole “retrò”, in bianco e nero, che ormai in pochi vedono, e ancor meno sanno apprezzare. Pellicole in cui occhi di donne cerbiatto, coronati di lunghe ciglia, si abbassano, insieme allo schiudersi di un timido sorriso, quando incontrano lo sguardo di “lui”, che con i capelli impomatati e le spalle larghe è pronto a stringere al petto quel “fragile uccellino” giurandole che non la lascerà mai. Un giuramento diverso dagli odierni, di quelli che sanno davvero di domani, proferiti con il mento pronunciato e lo sguardo fisso e fiero, come a sfidare qualunque destino che osi intromettersi tra l’uomo e la sua promessa.
Parole “vere” come quei “grazie” e “prego” ai quali non siamo più abituati, accompagnate da gesti galanti, misurati, cortesi. Sorrido tra me e me ripensando ad una di quelle delicate scene – sebbene non mi sovvenga il titolo del film nonostante gli sforzi per ricordarlo – in cui un bimbetto rubicondo, con occhi lucidi a fare capolino da una smorfia di beata soddisfazione, si accinge ad attaccare un invitante gelato appena conquistato. Dispettosa, la leccornia tanto agognata si tuffa ratta dalle mani dello sventurato, per finire sul selciato a pochi passi da lui. In men che non si dica il luccichio di quelle due stelline è affogato da copiosi lacrimoni, mentre la più nera disperazione di lamenti e mugolii attira l’attenzione di passanti e commercianti. Deus ex machina il premuroso gelataio, con un sorriso ed un cono esattamente uguale a quello perso, raggiunge il piccolo avventore, e con quel dono mette fine alla “straziante” scena.
Adoro talmente tanto quei fotogrammi che, nello scorrerli con la mente, mi sembra perfino che possano arricchirsi di particolari sempre più vividi ogni volta che li “rivedo”: il bianco e nero passa gradatamente ad un color pastello, fino ad assumere le tinte della realtà; poi sullo sfondo mi pare perfino di riconoscere largo Lala – a Fuorigrotta -, e ripensandoci bene anche i modelli delle auto lì parcheggiate, le voci delle comparse e gli abiti dei protagonisti sono in tutto e per tutto simili a quelli odierni… sogno o son desta? Nessuna finzione cinematografica ma una beffa della mente: nell’elaborare la scena “d’altri tempi” quasi non mi è parso vero si potesse essere consumata ai miei occhi, invece… “Gelateria Emma” recita l’insegna – che più vera non si può – del negozio dal quale ho visto uscire l’affettuoso gelataio, attività frutto della passione di tre imprenditori: Stefano Emma, Massimiliano Bruni e Alfredo Giannattasio, con la partecipazione di Pina Desena.
Anche il profumo che si leva dalle vaschette di colorato dessert è talmente aromatico ed invitante da non poter essere una beffa della mente ma, come mi spiega Stefano, il risultato di una miscela originale a base di frutta matura “a chilometro zero” – mi indica un ortolano a pochi metri di distanza -, latte e panna freschi, zucchero e addensante sapientemente combinati perché il prodotto finale possa risultare dolce, grasso, e cremoso al punto giusto. Come oramai il mercato richiede, o meglio “impone”, anche la gelateria Emma è attrezzata per soddisfare le richieste più varie, ad esempio quella di clienti vegani o intolleranti al lattosio. A questo punto, però, mi fa notare Massimiliano, bisogna stabilire di quale mercato stiamo parlando, e come rispondendo al mio sguardo interrogativo, mi svela che “Emma” ha altre due sedi in Cina, a Qingji dhao, battezzate “Il Bacio”, alle quali presto potrebbero aggiungersene altre.
Tra lo stupore e lo scetticismo apprendo che lì “va forte” il gusto al peperoncino e alla birra cinese, senza scalzare mai, però, il tiramisù ed il cioccolato, sul podio non tanto per una questione di palato, quanto di “cultura”. Già, perché noi italiani, un po’ schifati dalle condizioni impietose alle quali sottostiamo, un po’ per snobismo più che per senso critico, tendiamo a rinnegare la nostra cultura e sottovalutare le eccellenze che potrebbero portarci lontano. Stefano, gelataio per “gioco” che si occupa di medicina estetica e chirurgia plastica, durante i suoi meeting ha avuto modo di scoprire quanto il Made in Italy, all’estero, sia “preso sul serio”; tanto da giustificare l’esistenza di una regola inflessibile: quella delle 3 “F” d’oro – food, fashion e Ferrari. Che sia in terra d’Oriente o natia, ci sono però delle direttive sulle quali nessuno dei soci transige: le materie prime devono essere sempre fresche e di prima qualità, la lavorazione artigianale, e la “ragione” sempre del cliente, coccolato nel suo piccolo momento di relax… e se potrà sembrarvi “retrò”, sappiate che la migliore tradizione non passa mai di moda!