Si chiamavano Aglaia, Eufrosine e Talia, ma sono conosciute in tutto il mondo come le “Tre Grazie”, le figlie di Zeus che, secondo il mito, diffondevano splendore, gioia e prosperità nel mondo umano e naturale. A loro il grande Antonio Canova (Possagno, 1757 – Roma, 1822) si ispirò, in perfetta linea con le teorie neoclassiche promosse da Johan Joachim Winckelmann, per la realizzazione di una delle sue più famose sculture.
In vista della grande mostra dedicata ad Antonio Canova – “Canova e l’antico” – in programma al MANN nel 2019, il capolavoro del genio italiano arriverà per la prima volta a Napoli, direttamente dall’Ermitage di San Pietroburgo, dov’è custodito. In un incontro pubblico, i due direttori, Michail Piotrovsky (Ermitage) e Paolo Giulierini (MANN), hanno anticipato i prestiti che il museo russo concederà ai colleghi napoletani: si tratta di sei capolavori di Canova (il Genio della morte, la Danzatrice, la Ebe stante, l’Amorino alato, il gruppo Amore e Psiche stanti e le Tre Grazie) a cui si uniranno la statua romana dell’Ermafrodito dormiente (del III-I secolo a.C.) e il gruppo Ercole e Lica. In cambio il MANN, assieme alla Soprintendenza di Pompei, allestirà, nello stesso periodo della mostra su Canova, una grande mostra a San Pietroburgo dedicata proprio a Pompei.
Fu Giuseppina di Beauharnais, la prima moglie di Napoleone Bonaparte, a invitare Antonio Canova ad iniziare il gruppo scultoreo raffiguranti le Tre Grazie, come emerge in una lettera del 1812 in cui Bossi scrisse allo scultore di avere «sentito il vociferare che tu debba fare per questa Signora [la Beauharnais]un gruppo delle tre Grazie». La Beauharnais, tuttavia, non vide mai il gruppo, siccome Canova, che già nel 1813 si rammaricava di non poterle mostrare almeno un disegno, ultimò le Tre Grazie nel 1817, dopo la morte di lei (avvenuta nel maggio del 1814).
L’opera riscosse uno sfolgorante successo. Due, in particolare, furono particolarmente prodighi di complimenti verso lo scultore. Il primo era John Russell, VI duca di Bedford, che, colpito dalla bellezza del marmo, tentò di acquistarlo: l’opera, tuttavia, fu reclamata da Eugenio di Beauharnais e trasportata in Russia, per poi entrare nel 1901 nelle collezioni del museo dell’Ermitage (dove si trova tuttora). Il duca fu pertanto costretto a richiederne una seconda redazione, completata dal Canova nel 1817 e prontamente ricollocata nella sua residenza di campagna, Woburn Abbey (oggi è esposta al Victoria and Albert Museum di Londra).
Le tre Grazie sono raffigurate dal Canova nella loro posizione più canonica, ovvero quella in cui sono mostrate ritte in piedi e avvinghiate in un intimo abbraccio: nessuna delle tre figure dà del tutto le spalle allo spettatore, differentemente da come avvenne in una tavola di Raffaello Sanzio probabilmente conosciuta dal Canova. Il senso di unione dettato dall’abbraccio della figura centrale è rafforzato da un morbido velo che, ricalando dal braccio della Grazia di destra, cinge le tre fanciulle celandone parzialmente le nudità.
Oltre che nella consistenza quasi tattile del velo marmoreo, il virtuosismo di Canova si manifesta anche nelle fluenti capigliature delle tre Grazie, che presentano tutte un’elaborata acconciatura raccolta in nodi sulla nuca e in ciocche minutamente arricciolate, e nell’applicazione di una patina per imitare il calore rosato dell’incarnato. L’unico ornamento ambientale presente nella scultura, infine, è una colonna dorica sulla sinistra, utile base d’appoggio per le tre fanciulle.