Letizia De Martino, la giovane napoletana prima donna giudice d’Italia e la complessa storia delle donne in magistratura.
Nel 1964, appena un anno dopo la legge che ha segnato l’ingresso delle donne in magistratura, Letizia De Martino, 27 anni, sposata con l’ufficiale Saro Ferone e madre di due bambini ancora piccolissimi, diventò la prima donna giudice d’Italia. Le donne a vincere il concorso, prima riservato ai soli uomini, furono 8 e quella vittoria apparve sin da subito un traguardo storico. Difatti il cammino che ha portato alla storica legge 66 del 1963 è stato tortuoso e sofferto. Ma facciamo un passo indietro.
Era il 17 luglio del 1919 quando venne varata la legge n. 1176, con la quale il Parlamento riconobbe la capacità giuridica alle donne, abrogando l’istituto dell’autorizzazione maritale e aprendo loro le porte del mondo del lavoro. O meglio, di una parte del mondo del lavoro. Sì, perché se da un lato la legge del 1919 ha rappresentato una tappa importante nella storia dei diritti delle donne, dall’altro, con l’art. 7, ha escluso queste ultime da tutti gli uffici pubblici che implicavano l’esercizio di diritti e di potestà politiche o che attenevano alla difesa militare dello Stato: prefetto, diplomatico, direttore generale di ogni dicastero, ministro, ufficiale giudiziario, cancelliere, magistrato, erano tutte carriere precluse alle donne. Insomma, quella del 1919 era una vittoria a metà.
Ciò che successe poi con l’avvento del fascismo è facile da immaginare: la riduzione della donna al ruolo di custode del focolare domestico, l’esaltazione della sua importanza (solo) in casa e in famiglia e l’ulteriore diminuzione degli impieghi statali accessibili alle donne, impressero una significativa battuta d’arresto alla già ostacolata marcia verso il riconoscimento di una sostanziale parità di genere.
Una prima inversione di rotta si ebbe con l’Assemblea costituente che, sebbene in un clima ancora scettico e ostile, giunse all’approvazione dell’art. 51 della Costituzione, ai sensi del quale «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, – ma – secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
Si trattò in effetti di una formulazione di compromesso, fondata sul non dichiarato convincimento che proprio la mancanza di un’apposita legge avrebbe consentito agli interpreti di far prevalere, ancora per un po’, la propria opinione. E infatti ci sono voluti ben 15 anni dall’entrata in vigore della Costituzione perché le cose effettivamente cambiassero.
Basti pensare che ancora nel 1957, Eutimio Ranelletti, presidente onorario della Corte di Cassazione, in un suo libro spiegava convintamente perché le donne non potessero ricoprire la carica di giudice con queste parole: «la donna è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal “pietismo”, che non è la “pietà”; e quindi inadatta a valutare obbiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti». Di riflessioni come questa è piena la letteratura del tempo, quando anche le persone più autorevoli non mancavano di schierarsi apertamente e con fierezza contro una categoria, quella delle donne, considerata assolutamente incapace di assumere decisioni lucide e razionali.
È solo nel 1960 che, finalmente, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 7 della legge del 1919 per contrasto con l’enunciato costituzionale. Così, dopo 15 anni dall’entrata in vigore della Costituzione e 16 concorsi per uditore giudiziario, per un totale di 3127 vincitori, che avevano visto l’indebita esclusione delle donne, nel 1963 l’approvazione della legge n. 66 consentì loro l’accesso a tutte le cariche.
È proprio al concorso bandito nel 1963 che partecipò, poi vincendo, Letizia De Martino. Con la sua vittoria Letizia, giudice ma anche moglie e madre, smentì i pregiudizi e gli stereotipi che da decenni reggevano le argomentazioni di quanti ritenevano che le donne non fossero geneticamente, psicologicamente e fisicamente adatte a svolgere determinati compiti.
Oggi, il numero di magistrati donne supera quello dei colleghi uomini, un dato in controtendenza rispetto agli altri ambiti lavorativi, economici e politici in cui invece le donne sono sottorappresentate. Eppure, tra i magistrati, sono ancora in netta minoranza le donne con incarichi direttivi: si pensi che solo quest’anno, a 60 anni esatti dall’ingresso delle donne in magistratura, abbiamo visto per la prima volta una donna, Margherita Cassano, diventare Presidente della Corte di Cassazione. Insomma, di strada da fare ancora ce n’è ma adesso le premesse di partenza per gli uomini e per le donne, almeno da un punto di vista giuridico, sono le stesse.