“Lisario o il piacere infinito della donne”: il nuovo romanzo di Antonella Cilento

Non meraviglia affatto che Antonella Cilento sia entrata nella cinquina del prestigioso Premio Strega, perché “Lisario o il piacere infinito della donne”, edito da Mondadori, è un vera e propria opera d’arte. Un affresco a tutto tondo.

Una tela tracciata con le “linee scritte”, e per questo ancor più capace di destare meraviglia perché, leggendo il romanzo, si vedono i colori, si annusa l’aria fetida, si sentono i chiassosi vicoli di Napoli, si ammirano chiese e teatri. Si simpatizza con un personaggio, si prova repulsione per un altro.

Ci troviamo a Napoli e Lisario Morales, a causa di un maldestro intervento chirurgico, perde l’uso della parola ma, di nascosto, legge Cervantes e Shakespeare. I genitori vogliono maritarla che è ancora bambina, e lei si difende cadendo addormentata, proprio come nella famosa favola.

Ci proverà a risvegliarla, Avicente Iguelmano, medicastro giunto a Napoli per rifarsi una reputazione. Dopo una serie di tentativi, resta fatalmente attratto dalla bellezza di Lisario e inizia a praticare su di lei giochi erotici cui, pur dormendo, la ragazza risponde. Sconvolto Avicente abbandona l’incarico, ma dopo pochi giorni Lisario si risveglia e, in segno di riconoscimento, viene data in sposa al medico. Di qui nasce l’ossessione del marito per il piacere femminile, e si dipana la storia fatta di scene corali, vicende private e colpi di scena.

La tecnica è puntuale, lo stile dell’autrice si esplicita in una prosa ironica, tagliente, e decisamente pittorica; il linguaggio è molto efficace nel ricreare l’ambientazione barocca, e i personaggi sono costruiti con molta cura.

L’Espresso napoletano ne ha parlato con la scrittrice.

Antonella Cilento

Antonella, un romanzo ambientato nel ‘600 napoletano. Periodo artisticamente importante per Napoli e con molti chiaroscuri. Perché proprio questa ambientazione?

«Credo che ogni scrittore abiti un tempo preferenziale, un tempo dell’anima. E il mio è senz’altro il Seicento, che infatti compare, direttamente o in trasparenza, in molti miei romanzi o racconti precedenti a Lisario.

Avverto questo secolo vicino perché è il più prossimo al nostro tempo e contiene le radici di molti mali ma anche di tanti modi di essere della contemporaneità: è il secolo in cui nasce la fede nella scienza, una fede eccessiva e ancora mista alla superstizione; è il secolo del buio e della luce in pittura; è il secolo delle grandi epidemie e delle guerre; ma soprattutto è il secolo in cui l’ossessione per il corpo e il potere esercitato sui corpi prende la forma attuale.

Se le donne del Seicento sono ritratte in forme tonde e rubizze, è per rappresentare la ricchezza e il potere di chi le ha sposate o generate: chi è grasso è sopravvissuto a guerre, epidemie e carestie, è benestante. Oggi, per rappresentare l’equivalente condizioni, noi cerchiamo corpi di donna filiformi e anoressici, magrissimi: la ricchezza si proietta sulla morte e sull’asservimento del corpo femminile.

donna allo specchio

Il Seicento è un secolo ossessionato dal rapporto con l’aldilà e dalla paura della morte; il Novecento e il nostro nuovo secolo è ossessionato dalla cancellazione della morte, dall’ossessione per l’eterna giovinezza.

I mali e le bellezze dell’occidente nascono, insomma, nel Seicento. In fine, cosa non meno importante, il Seicento è il secolo di Napoli: della sua meravigliosa pittura, della sua straordinaria musica e anche della sua notevolissima poesia. Basile e la sua fantasia sfrenatissima, la poesia meravigliante e meravigliosa di Marino e, soprattutto, l’immensa produzione della pittura spagnola, olandese e napoletana post caravaggesca non avrebbero potuto esistere in nessun altro secolo.

Nel tuo romanzo ci sono “lazzaroni”, miserabili , prostitute, potenti. Tutti personaggi di un’unica tela?

«Senz’altro, come era nei quadri di Micco Spadaro: grandi e piccoli, potenti e disgraziati tutti delle stesse dimensioni perché tutti umani e miseri o umani e grandi. Il romanzo è un’opera corale e tutti devono avere il loro spazio, una grande opera visiva e musicale: io almeno lo concepisco così».

rivolta di micco spadaro

La protagonista, Lisario, è muta. Subisce un matrimonio e in quanto donna vive una condizione di inferiorità, però sa leggere e scrivere. Alla fine è la più libera di tutti?

«Sì, nelle mie intenzioni è così: Lisario ha dalla sua il segreto incondivisibile della scrittura e della lettura e i segreti, condivisibili ma spesso agli uomini incomprensibili, della libertà del suo corpo. In più ha l’ironia, un’arma che manca ai suoi rigidi coprotagonisti.

Lisario non può essere libera fino in fondo, è vero, ma nella sua completa schiavitù è più consapevole di molti altri. Certo, anche a sua figlia toccherà trovare camuffamenti, forme miste per esistere in libertà. La libertà vera e completa delle donne, giunta in apparenza nel Novecento, è ancora lontana: ma siamo proprio sicure di aver ottenuto quel che volevamo? La rivoluzione è giovane, è appena cominciata».

Il piacere femminile è uno dei temi dominanti del libro, e diventa un’ossessione per il dottor Avicente Iguelmano. Questo tema oggi è ancora un’ ossessione per gli uomini?

«Sì, gli uomini sono dei vouyeur, guardano e sperano di controllare le donne attraverso lo sguardo: ecco il perché di tanti specchi sospesi nei quadri antichi. In fondo, la paura di non essere stati performanti è una delle ossessioni maschili. E il non essere all’altezza, il non sentirsi apprezzati è anche all’origine di tanti femminicidi».

A proposito di ossessioni ti cito: “Gli scrittori scrivono delle proprie ossessioni”, e “scrivere è come fare uno spogliarello”. Nei tuoi romanzi il femminile e Napoli sono sempre presenti. Hai messo a nudo le tue ossessioni?

«Non c’è dubbio: Lisario che scrive e legge, Lisario che ha un problema alla tiroide, Lisario che non può parlare, Lisario che non vuol fare quel che le si ordina. Nelle differenze profonde ogni personaggio, e non solo la protagonista, ha avuto in prestito una mia parte. Napoli, poi, matrigna prima che madre, è sempre con me, è il terreno delle mie piante».

Copertina Lisario

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