Little Pony, se la musica è improvvisazione

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Napoli è una culla in cui le realtà si mischiano e si contaminano, dando vita a esperimenti unici, soprattutto nel campo musicale che si rinnova di continuo. Vi raccontiamo la storia dei Little Pony, band busker punk napo – americana che ha suonato in mezza Europa e si prepara a pubblicare il suo terzo album. Marco Guerriero, bassista, mi racconta sorridendo perché si chiamano così: “Non ci siamo mai presi troppo seriamente: vedendo che tanta gente puntava sulle cover band, scherzavamo sulla possibilità di farne una di Little Tony, da lì Little Pony”.

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L’auto-ironia contro la pesantezza della vita contemporanea ha da sempre contraddistinto il gruppo. Tutti over 30, hanno fatto dell’improvvisazione piratesca la loro carta d’identità, tanto che potremmo definirli una street band. Tutto inizia nel 2014 per le strade di Napoli, da Marco Guerriero, Ryan SpringDooley, Fulvio Laudiero (ora sostituito da Valerio De Martino). Ognuno suonava per conto suo, si sono conosciuti per caso. “Abbiamo iniziato” continua Marco “con un tour ‘in passeggino’, in cui tutto quello che serviva doveva stare appunto in un passeggino: questa cosa l’abbiamo imparata dagli zingari. Siamo partiti con i treni regionali, senza date, booking, nulla. Abbiamo girato l’Italia in questo modo. Piacevamo a qualcuno e ci invitavano a suonare nei locali”.

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Fino ad arrivare a Pavia, dove hanno incontrato il produttore del loro primo disco We all fall down. Da lì le cose sono un po’ cambiate, hanno preso contatto con qualche agenzia di booking ed è iniziato il tour anche nei locali. “Ma nasciamo come buskers, artisti di strada. Quella matrice ce la siamo portata nel sound della band” spiega Guerriero. Un sound fatto di improvvisazioni da cui si ricavano le strutture per le canzoni. Quest’approccio molto aperto ha portato i Little Pony a suonare con moltissimi musicisti: chiunque passava si aggregava, sia nei locali che in strada. “È un’attitudine chiaramente punk, se per punk intendiamo trovare il modo più semplice per esprimere quello che vuoi esprimere con l’urgenza di esprimerlo”.

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A questo si aggiungono influenze blues, funk, jazz, rap. Quest’ultimo è stato portato da Ryan SpringDooley, americano di Minneapolis trasferito in Italia da anni, cantante e sassofonista: ha vissuto in varie parti d’Italia per cui ha preso diversi accenti che mette nei pezzi, anche rappandoci. Il risultato è una mescla tra italiano, napoletano e dialetti vari (come il lombardo), inglese americano. “I testi parlano di quello che ci succede ma c’è anche una certa ironia sulla pesantezza della vita e l’importanza di non prendersi sul serio”. Inoltre Ryan nasce come pittore, video amatore e street artist: questo ha dato al gruppo uno stile più che riconoscibile, attraverso la produzione di video musicali particolarissimi che troviamo su youtube.

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L’attitudine trasversale dei Little Pony li ha portati a partecipare a festival di street art, fumetto, illustrazione, oltre a festival musicali internazionali, con ottimi riscontri: assidua la loro partecipazione alla Settimana italiana della musica a Parigi, le selezioni dello Zsiget Festival, il Lugano Busker Festival. I Little Pony hanno suonato in mezza penisola, tra Milano, Roma, Rimini, Bologna, Siena, e sono da poco reduci da un tour in Sicilia. Dopo We all fall down e Milky white way si preparano ora all’uscita del terzo disco: con uno sguardo fuori dall’Italia, l’attitudine street e il cuore a Napoli che li ha fatti incontrare.

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