Lo cardillo – “Chella nenna haje da ire a trovà”

Lo cardillo
Lo cardillo

Raccontiamo le storie (inventate o reali, chi lo sa) dietro le canzoni classiche napoletane. Oggi riascoltiamo e rileggiamo Lo cardillo, qui nella versione di Roberto Murolo.

Lo cardillo racconta di un amore ossessivo, o di un’ossessione amorosa, che possono sembrare la stessa cosa, ma in realtà non lo sono. E soprattutto, così come la poesia vuole, in questa canzone l’ossessione non si tramuta in male procurato all’altra persona, ma resta un tarlo del tutto personale di colui che ama.

Amore e uccellini

Quanto può essere giusto sprecare la propria vita per una donna? E quanto è giusto parlare di spreco? E quanto è sbagliato parlare d’amore? Quanto è sottile il confine tra amore e ossessione?

Sono due anni che sono innamorato, o forse ossessionato. Il problema è che lo so soltanto io… e i miei uccellini.

Ecco, quella è un’ossessione. Allevo uccellini da sempre: ne ho 51. E penso di averne avuti più di duecento da quando ho iniziato, per caso. Il primo uccellino che ho avuto si era posato su questo balconcino dal quale ora spreco la mia vita. Era ferito, io l’ho curato e da allora ho scoperto che tutti loro avevano bisogno di me, o forse ero io ad aver bisogno che qualcuno avesse bisogno di me.

Il bisogno

Ora io avrei bisogno che qualcosa cambiasse. Il mio sguardo dal mio balconcino si inoltra per raggiungere il punto che già sa. Tra i palazzi, tra gli scorci di cielo, quasi come un radar, un mirino, i miei occhi puntano una finestra. Dietro i vetri e le tende tirate qualcuno si muove e credo sia lei. Perché non apre quelle tende? Non lo fa mai, né con il sole, né con la pioggia, né di sera, né all’alba. Eppure, gli sguardi pesano. E i miei sono così insistenti che dovrebbero avere la forza di spalancare la finestra, far bruciare i vetri più del sole cocente, divellere completamente le tende. E invece no. Ho coltivato la convinzione che lei sappia di essere osservata e allora accuratamente si preoccupi di non lasciarsi osservare fino in fondo. O magari è lei che osserva me quando io chiudo il balcone e non ci incontreremo mai.

Mi serve un aiuto.

Lo cardillo

Ho 51 uccellini e l’ultimo arrivato ha qualcosa in più. È un cardellino, e credo di averlo allevato davvero bene. Sembra quasi che mi capisca. Magari potrebbe fare lui da spia per me, potrebbe portarle un messaggio, potrebbe consegnarle i miei sguardi.

Vado a recuperare la gabbietta del piccolo cardellino. È ora di istruirlo:

«Vedi quella casetta, vedi quella finestra: lì c’è la donna per cui spreco le mie giornate, la donna che amo e che mi ossessiona, la donna di cui avrei bisogno per non aver più bisogno di voi. Tu devi picchiettare con il becco su quella finestra, devi farla aprire. Oppure devi aspettare che si apra e portarle il messaggio: lo capirà, saprà dove guardare da quel momento in poi. Se invece c’è un uomo con lei… non lo accettare. Io non lo accetterei… Ora vai.”

Il mio cardellino prende il volo e come speravo punta dritto verso la finestra. Io mi nascondo per osservare. Il cardellino picchietta con il becco sul vetro, insiste, cinguetta e alla fine la finestra si apre. Uno scorcio di lei che aspettavo da sempre è un fugace attimo d’amore. La finestra si richiude troppo in fretta e il cardellino è dentro con lei. Le tende si richiudono…

Il bisogno, di nuovo

La finestra è chiusa da tre giorni. Il mio cardellino non è più tornato. Forse gli ho insegnato fin troppo bene, forse ha superato il maestro e ora forse l’ho capito: non posso pretendere di essere il bisogno di chi non ha bisogno.

È ora di chiudere il balcone. Magari un giorno lo riaprirò… ma solo quando ne avrò di nuovo, purtroppo, bisogno. Un giorno, magari… magari domani.

Testo canzone – Lo cardillo (1849)

Musica di Pietro Labriola, Testo di Ernesto Del Preite

Stó’ criscenno no bello cardillo,
quanta cose ca ll’aggi’ ‘a ‘mpará.
Ha da ire da chisto e da chillo,
li ‘mmasciate isso mm’ha da portá.

Siente ccá bello mio, llòco ‘nnante,
c’è na casa, na nénna nce sta,
tu la vide ca nun è distante.
Chella nénna haje da ire a trová.

Si la truove ca stace dormenno,
pe’ na fata, gué, non la pigliá.
No, rommore non fá co’ li ppenne,
gué, cardí’, tu ll’aviss’ ‘a scetá?

Si affacciata po’ sta a lo barcone,
pe’ na rosa ll’aviss’ ‘a pigliá?
Gué, cardí’, vi’ ca llá tu te stuone,
va’ vatténne cardí’, nn’ ‘addurá.

 Si la truove ca face ll’ammore,
‘sto cortiello annascùnnete ccá.
‘Nficcancillo deritto a lo core
e lo sango tu mm’haje da portá.

Ma si penza, vatté’ chiano chiano,
zitto zitto te nce haje da azzeccá.
Si afferrá po’ te vò’ co’ la mano,
priesto ‘mpietto tu ll’haje da zompá.

Si te vasa o t’afferra cianciósa,
tanno tu ll’haje da dire accossí:
“Lo patrone pe’ te non reposa,
poveriello, pecché ha da morí?”

T’accarezza, te vasa. Ah, viato
cchiù de me tu si’ certo cardí’.
Si co’ tico cagnarme mm’è dato,
voglio, doppo, davvero morí.

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