Raccontiamo le storie (inventate o reali, chi lo sa) dietro le canzoni classiche napoletane. Oggi riascoltiamo e rileggiamo Marechiare, qui nella versione di Eduardo De Crescenzo.
Marechiare è una delle canzoni più conosciute del patrimonio musicale partenopeo. Una vera e propria poesia in musica da ascoltare magari davanti al mare, magari non da solo, magari proprio a Marechiaro. Ed è proprio davanti al mare che abbiamo immaginato questa storia.
«Sei bella, punto»
«Sei bella come una rosa che…».
«Stucchevole, riprova».
«Sei bella come il sole…».
«Fammi indovinare: dopo un giorno di pioggia?».
«Come devo fare allora?».
«Togli il paragone. ‘Sei bella come’… no, ‘sei bella, punto’. Se è ‘bella come’ vuol dire che quel ‘come’ può sostituirla. Tu la sostituiresti con una rosa o con il sole?».
«No… e soprattutto non so definirla… ho capito: ‘sei bella, punto’».
«Sì… magari un po’ meno aggressivo… e non definire nemmeno quel ‘punto’… mette ansia».
«Fluire, suona bene»
«E dove la porti?».
«Devo deciderlo prima? Non posso… ehm… lasciarmi trasportare?».
«Sì, puoi… anche se, al massimo, devi lasciarti fluire, che è diverso».
«Fluire, suona bene».
«Se ti fai trasportare, sei in balìa delle onde, non saprai dove finirai. Se ti lasci fluire, non avrai comunque freni, ma sarai incanalato e avrai una meta precisa. Devi fare come il mare, che finisce comunque sempre su una spiaggia».
«Può finire anche sugli scogli, eh».
«Almeno finisce! Devi aver paura di quello che non finisce».
«Non ha senso».
«Invece sì. Se stai correndo la gara più sfiancante della tua vita, vuoi sempre che al più presto arrivi il traguardo, che tu sia primo o ultimo!».
«Ha senso».
Al mare
«Ecco, tu portala al mare».
«Al mare?! Poi ero io quello stucchevole?».
«Come può essere stucchevole ciò che è sempre in movimento? Tu portala al mare».
[…]
Se ne stava seduto a guardare il mare. Guardava con una tale intensità che avrebbe potuto uccidere un uomo solo con quello sguardo. Guardava il mare e perdeva il suo tempo. Una cosa la sapeva: il mare non si può uccidere. Ma non era solo.
Se ne stava seduta a guardare il mare. Guardava con tanta dolcezza che avrebbe potuto sottomettere un uomo solo con quello sguardo. Guardava il mare e perdeva il suo tempo. Una cosa la sapeva: il mare non si può sottomettere. Ma non era sola.
[…]
Quando incrociarono gli sguardi staccandoli dal mare – che non è mai cosa da poco, che quando lo fai è solo perché il tuo mare sta da un’altra parte – lui si accorse che avrebbe anche potuto aspettare la notte così: immobile, fissandola. Aveva come l’ingenua sicurezza che non sarebbe rimasto al buio, anche in una notte senza luna.
Avrebbe dovuto dirle quel ‘sei bella, punto’, ma senza punto… però le parole non uscivano. La spiaggia era lì, ma c’erano anche gli scogli. Adagiarsi o naufragare? Stava tutta lì la differenza.
La sua testa era completamente vuota. Si stava lasciando trasportare, non stava fluendo per niente! Aveva bisogno di ‘finire’ ma non riuscì a farlo: in quella gara correva da solo; non era né primo né ultimo; e il pubblico dov’era? Perché nessuno lo incitava a raggiungere il traguardo? Dipendeva tutto da lui. Questo non gliel’avevano spiegato: ci vuole coraggio per finire.
La guardò ancora, poi spostò gli occhi verso il mare, quasi a volere che lei seguisse il suo sguardo, quasi a volere che lei capisse ciò che non osava dirle. Accadde così che lei comprese. Accadde così che lui (non) le disse: «Sei bella come il mare».
[…]
Se ne stavano seduti a guardare il mare. Guardavano con tanto amore che anche il mare si sarebbe innamorato. Un’altra cosa ora sapevano: anche il mare può amare. E, ora, non erano più soli.
Testo Canzone – Marechiare (1886)
(Testo di Salvatore Di Giacomo, Musica di Francesco Paolo Tosti)
Quanno spónta la luna a Marechiare,
pure li pisce nce fanno a ll’ammore.
Se revòtano ll’onne de lu mare,
pe’ la priézza cágnano culore.
Quanno sponta la luna a Marechiare.
A Marechiare ce sta na fenesta:
la passiona mia ce tuzzuléa.
Nu garofano addora ‘int’a na testa,
passa ll’acqua pe’ sotto e murmuléa.
A Marechiare ce sta na fenesta.
Chi dice ca li stelle só lucente,
nun sape st’uocchie ca tu tiene ‘nfronte.
Sti ddoje stelle li ssaccio i’ sulamente,
dint’a lu core ne tengo li ppónte.
Chi dice ca li stelle só lucente?
Scétate, Carulí, ca ll’aria è doce.
Quanno maje tantu tiempo aggi’aspettato?
P’accumpagná li suone cu la voce,
stasera na chitarra aggio purtato.
Scétate, Carulí, ca ll’aria è doce.