Marineria meridionale

da dx: allievi pilotini (Maiolo), istituto nautico Duca degli Abruzzi
da dx: allievi pilotini (Maiolo), istituto nautico Duca degli Abruzzi
da dx: allievi pilotini (Maiolo), istituto nautico Duca degli Abruzzi

Le “scuole per il lavoro” in epoca borbonica: gli istituti nautici di Napoli e Piano di Sorrento dal 1770 ai giorni nostri.

Le scuole nautiche di Napoli e Piano di Sorrento, fondate nel 1770, tra le prime in Italia, mostrano la particolare vitalità del territorio campano in ambito marittimo.

Fin dall’arrivo di Carlo di Borbone si era sentita la necessità di un’istruzione nautica, imparata in modo empirico dai marinai che se la trasmettevano di padre in figlio. Dagli anni ’50 il re, nel riorganizzare la marina mercantile, prescrisse un esame per coloro che volevano esercitare il mestiere di pilota. Ma in quegli stessi anni l’abate Antonio Genovesi iniziava degli studi sull’istruzione primaria, il “motore” di uno stato avanzato, auspicando lo sviluppo di alcune “scuole per il lavoro” (sul tipo dei moderni istituti professionali) laiche e gratuite in cui si dovevano imparare non solo i rudimenti del mestiere, con un preciso insegnamento tecnico, ma anche il saper leggere, scrivere e far di conto ed una lingua straniera (francese o inglese).

Dopo l’espulsione dei gesuiti (1787) le proposte del Genovesi vennero riprese per emanare un regolamento, stilato nel 1770, per tre scuole laiche, il collegio nautico per gli orfani dei marinai di San Giuseppe a Chiaia, a Napoli, il collegio nautico di Meta e Carotto (nel territorio del Piano di Sorrento) e il collegio del Carminiello al Mercato per le orfane dedite alla tessitura della seta.

Nel regolamento del 1770 per la scuola nautica si doveva dare ampio spazio alle materie tecniche in modo da creare un ceto di marinai capaci di solcare gli Oceani, su modello dei marinai inglesi e francesi, sulle cui navi i nostri marinai erano mandati ad esercitarsi. Ampio spazio veniva poi dato anche all’apprendimento delle lingue straniere, che dovevano servire ai marinai per poter comunicare e commerciare in modo più proficuo.

Dagli anni ’80 del ’700, in via sperimentale, venne applicato il “metodo normale”, già in uso in Germania, che permetteva un più rapido apprendimento del leggere e dello scrivere.

Altre riforme furono effettuate in epoca francese (1806-1815), quando Matteo Galdi stilò un “Piano” di studi mutuato sulla scuola tecnica di Amsterdam, dove egli aveva risieduto a lungo, in cui si puntualizzava la necessità di un capillare studio delle matematiche da applicare alla nautica.

Nel secondo periodo borbonico (1815-1861) la scuola di San Giuseppe fu accorpata all’Accademia di Marina e trasferita nei locali dell’abolito monastero dei Santi Severino e Sossio, prendendo il nome di “Secondo Collegio di Marina” o “Collegio dei Pilotini”, e venne controllata dal Ministero della Marina, che provvedeva a far sostenere gli esami annuali per i piloti impiegati poi nella flotta regia o nella marina mercantile per i viaggi oceanici. Nel 1831 anche per il Collegio Nautico di Meta e Carotto venne promulgato un nuovo regolamento, che divenne la base per gli altri istituti aperti nel Regno (Procida, Castellammare, Gaeta, Reggio Calabria, Bari).

Poi col cambio della tecnologia nautica e l’avvento della navigazione a vapore dagli anni ’40 venne creato l’opificio di Pietrarsa dove si costruivano motori a vapore per le navi e per la nascente ferrovia e fu organizzata anche una “Scuola per macchinisti”, che dovevano sostituire quelli fatti venire fino ad allora dall’Inghilterra.

Dopo l’Unità, soppressa l’Accademia di Marina, il “Collegio dei pilotini” Napoletano fu abolito. Invece la scuola di Piano di Sorrento venne riorganizzata nell’ex convento dei Padri Carmelitani Scalzi ed elevata nel 1866 dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio a Regio Istituto di Marina Mercantile col nome di “Nino Bixio”. Qui, negli anni ’80, venne organizzata una sezione per “macchinisti” e piloti d’altura che dovevano essere capaci di solcare i mari con l’ausilio delle nuove navi, i “brigantini a vapore”, costruiti tra Piano e Castellammare.

La scuola napoletana invece ebbe una sorte più travagliata: fondato il 1862, all’Istituto tecnico di Napoli, nel 1864, fu aggregata la “Scuola Nautica” napoletana con una sezione delle “Arti marinaresche”, per la formazione di capitani, macchinisti e costruttori. Poi con decreto del 1865 la “Sezione Nautica” fu trasformata in “Istituto Reale di Marina Mercantile” e con decreto del 1868 in “Istituto Nautico”, sempre unito all’Istituto Tecnico. Solo nel 1904 esso fu separato con una sua sede a via Tarsia ed ebbe il nome di “Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi”. Infine, dopo il terremoto del 1980 è stato trasferito nella nuova sede di Bagnoli, dove è stato anche allestito un “Museo del Mare”, a cura del Prof. Antonio Mussari.

La vicenda delle scuole nautiche di Napoli e Piano, istituite nel 1770, mostra lo sviluppo della marineria meridionale, dedita fino a quella data ad una navigazione prevalentemente di cabotaggio. L’esigenza di uno studio tecnico della navigazione ha portato infatti alla creazione delle scuole nautiche in un territorio come quello di Piano di Sorrento dedito da sempre alla marineria; e proprio in questo territorio a fine ’700 si andavano perfezionando le tecniche costruttive per grosse imbarcazioni mercantili che si cominciavano a spingere fin verso le Americhe. Perciò per poter essere in grado di compiere questi lunghi itinerari era necessario un accurato studio della navigazione, le cui conoscenze fino ad allora erano state tramandate oralmente, di padre in figlio. La scuola di Piano e quella di Napoli, diventate modello per le altre scuole nautiche apertesi nel corso dell’800 in tutto il Regno meridionale, sono state riorganizzate dopo l’Unità, per essere adeguate alle nuove tecniche della navigazione a vapore, come le altre (in particolare quelle di Genova) ed hanno mantenuto una loro vitalità fino ai nostri giorni. In particolare quella napoletana conserva un ricco corredo di strumenti nautici, modellini e materiale vario conservati nell’unico “Museo del mare” della città di Napoli. E quella di Piano, oltre a simili reperti, conserva un ricco archivio ed una ricca biblioteca che permettono di poterne studiare la storia dello sviluppo delle conoscenze nautiche.

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